Gli ultimi mesi sono stati determinanti e per molti aspetti sorprendenti per la posizione dell’Italia a Bruxelles. L’onda lunga della crisi di governo agostana ha determinato uno stravolgimento della configurazione della squadra italiana nelle nuove istituzioni. Dopo l’elezione di David Sassoli alla presidenza del Parlamento europeo (Pe) – avvenuta prima della crisi ma comunque in controtendenza con l’orientamento del governo giallo-verde – sono arrivate l’elezione di Irene Tinagli alla presidenza della commissione parlamentare per le questioni economiche e monetarie (in sostituzione di Roberto Gualtieri, nominato ministro dell’Economia) e l’attribuzione a Paolo Gentiloni di un portafoglio di peso – quello per gli Affari economici – all’interno della nuova Commissione presieduta da Ursula von der Leyen.
La nomina di Gentiloni è stata confermata in un’audizione senza sbavature davanti alla commissione per le questioni economiche e monetarie del Pe lo scorso 3 ottobre. Insomma, conclusa la fase di ricerca di nuove alleanze, scontri e pugni sul tavolo che aveva caratterizzato il rapporto tra il governo Conte I e le istituzioni di Bruxelles, l’Italia ha inaugurato una nuova stagione caratterizzata dal ritorno alle vecchie alleanze, di dialogo e di ricerca del compromesso, premiata da una presenza di peso nella nuova leadership europea.
Tuttavia, il clima a Bruxelles in queste settimane non è stato certo di festa. Proprio quando il difficile negoziato per le nuove cariche europee sembrava essersi concluso e ci si avviava – seppur con qualche critica sulle scelte di von der Leyen sui portafogli dei nuovi commissari, soprattutto quelli dei vice-presidenti – ad avviare la nuova stagione politica europea, il Pe ha impresso una brusca frenata a tutto il processo. Prima è arrivato lo stop, in parte annunciato, alle candidature dei commissari rumena e ungherese, poi la ben più eclatante bocciatura della candidata francese Sylvie Goulard, destinata a gestire il mega-portafoglio Mercato interno, Industria, Difesa, Spazio e Digitale, lo scorso 10 ottobre. Una presa di posizione netta, seppur non senza fondamento, da parte del Pe, che ora rischia di rimettere in discussione tutti i delicati equilibri politici raggiunti.
Agenda controversa per il Vertice, fra commissari mancanti e Brexit
È in questo scenario che si è aperta a Bruxelles una settimana decisiva, che si concluderà con il Consiglio europeo del 17-18 ottobre. Sarà l’ultimo Vertice del presidente Donald Tusk e l’idea originaria era quella di non mettere sul piatto temi troppo controversi. In questo spirito, l’agenda del Consiglio prevedeva che la presidente eletta della Commissione europea fosse invitata a presentare il suo piano strategico quinquennale, a rimarcare il legame politico tra le due istituzioni. Ma sembra che von der Leyen dovrà fare un passo indietro e spiegare come intende uscire dell’impasse istituzionale in vista dell’insediamento, che potrebbe slittare al 1° dicembre prossimo. Se l’Ungheria ha già indicato come suo nuovo candidato il rappresentante permanente presso l’Ue Oliver Varhelyi, non ci sono ancora notizie sulla nuova nomina da parte della Francia e la crisi politica in Romania mette a rischio la designazione di un nuovo commissario in tempi brevi. Il Consiglio europeo dovrebbe inoltre adottare una decisione relativa alla nomina di Christine Lagarde a presidente della Banca centrale europea.
Oltre agli stravolgimenti nelle nuove cariche europee, la burocrazia bruxellese dovrà adeguarsi e affrontare alcuni dei dossier più caldi per la definizione del suo futuro prossimo. A cominciare dalla Brexit. Il Consiglio europeo si riunirà nel formato Ue-27 per discutere dello stato di avanzamento dei negoziati con il Regno Unito. Questa è davvero l’ultima chance di concludere un accordo entro la scadenza del 31 ottobre. Nell’ultima settimana ha preso piede l’ipotesi di una soluzione che prevedrebbe una sorta di partenariato doganale tra l’Irlanda del Nord e l’Ue, al fine di superare il backstop irlandese, basato su una proposta risalente al febbraio del 2018. Ma il sostegno della Camera dei Comuni, e in particolare quello – necessario – del Partito unionista democratico nordirlandese (Dup), è tutt’altro che scontato.
Inoltre, il fronte del Remain è ancora sul piede di guerra e si attende una seduta infuocata a Westminster sabato 19 ottobre, dopo il Consiglio europeo, e una grande manifestazione a favore di un secondo referendum. L’Italia è sempre stata tra i Paesi più aperti a soluzioni di compromesso nel tentativo di scongiurare una no-deal Brexit. Roma dunque non si opporrebbe a un‘estensione dei negoziati a fine gennaio 2020, a patto che le linee rosse individuate dall’inizio, a partire da quelle in materia di diritti dei cittadini e protezione delle indicazioni geografiche, non vengano rimesse in discussione. L’Italia aderisce anche al principio di solidarietà verso l’Irlanda, ma mantiene alcune cautele sul fondo di compensazione a favore dei Paesi più colpiti dalla Brexit, che dovrebbe essere finanziato attraverso il fondo dedicato alle catastrofi naturali.
Turchia, bilancio pluriannuale e clima
I leader europei affronteranno poi il tema Turchia, inizialmente calendarizzato per discutere la questione migratoria e il caso delle trivellazioni a largo di Cipro, e ora completamente monopolizzato dalla discussione sull’intervento militare unilaterale turco nel nord della Siria. La reazione dell’Ue finora è stata timida. Gli europei hanno trovato l’unanimità sulla condanna formale dell’azione militare turca al Consiglio Affari esteri del 14 ottobre e valuteranno l’imposizione di sanzioni. Nel frattempo, alcuni Stati membri, inclusa l’Italia, hanno deciso di imporre l’embargo immediato sulla fornitura di armi alla Turchia.
C’è poi il tema del bilancio pluriennale 2021-2027 dell’Unione, che sarà discusso sulla base del documento della Presidenza finlandese. Ci si aspetta conclusioni di tipo procedurale in vista del Consiglio europeo di dicembre, dove probabilmente non si raggiungerà l’accordo, per il quale si punta all’orizzonte di marzo 2020, sotto presidenza croata. Sul tappeto restano questioni fondamentali come il tema della condizionalità, il bilanciamento delle priorità politiche vecchie e nuove e l’ammontare totale del bilancio Ue. L’Italia sostiene l’introduzione di elementi di condizionalità – anche se quella legata al rispetto dello stato di diritto potrebbe rivelarsi scivolosa perché basata sugli indici di corruzione. Roma sostiene anche la destinazione di risorse a nuove priorità politiche come migrazione e sicurezza delle frontiere, a patto che non incida troppo su fondi di coesione e agricoltura. Il governo appoggia infine una dimensione del bilancio (rispetto al reddito nazionale lordo) in linea con l’obiettivo della Commissione dell’1,13%. Resta poi il tema delle risorse proprie, rispetto al quale l’Italia appoggerebbe l’introduzione di un prelievo sull’IVA, se unito ad altre misure.
Sul clima non sono previsti colpi di scena. Non si parlerà di Just Transition Fund e di nuovi impegni europei, ma ci si limiterà a discutere degli aspetti internazionali dei cambiamenti climatici, in seguito al vertice Onu sull’azione per il clima e in vista della conferenza sul clima in programma a Santiago del Cile a dicembre. Il governo italiano intanto ha inaugurato il Green New Deal con il via libera del Consiglio dei ministri al decreto legge clima, anche se le misure più incisive e sensibili, cioè i tagli ai sussidi dannosi per l’ambiente, sono state rinviate alla legge di bilancio.
Il nodo allargamento ai Balcani
Infine, il Vertice dovrà valutare la spinosa questione dell’apertura dei negoziati per l’adesione a Macedonia del Nord e Albania, già rimandata dapprima al giugno 2018 e poi al giugno scorso. Nelle ultime settimane, c’era stata una mobilitazione significativa delle principali cariche dell’Unione a favore dell’apertura raccomandata dalla Commissione europea sulla base dei progressi compiuti dai due Paesi, segnata dalla visita di Tusk a Tirana e a Skopje e da una dichiarazione congiunta di Tusk, Juncker, von der Leyen e Sassoli. Ma al Consiglio Affari generali del 15 ottobre la Francia ha bloccato la decisione pretendendo prima una riforma del processo di allargamento, nonostante la posizione di Germania e Italia, così come quella della maggioranza dei Paesi membri, sia favorevole a un passo avanti verso entrambi i candidati.
I capi di Stato e di governo si preparano dunque a un vertice dall’agenda fitta e impegnativa, tra dossier preparatori (bilancio pluriennale e clima), dossier più volte rinviati (apertura dei negoziati a Macedonia del Nord e Albania) e dossier non rinviabili (prossimo ciclo istituzionale, Turchia e Brexit). Soprattutto su questi ultimi si giocherà la credibilità della nuova Unione che ci traghetterà verso il 2024. Per il governo giallo-rosso, si tratta senz’altro di un battesimo del fuoco.
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