Bruxelles – I dati sensibili sono sempre sensibili. Per questo il divieto di trattarli vale anche per i gestori dei motori di ricerca. La privacy, in sostanza, va tutelata anche sul web. Opinioni politiche, convinzioni religiose o filosofiche nonché la vita sessuale delle persone va tenuta ‘segreta’, sempre. A stabilirlo la Corte di giustizia dell’UE, che mette ordine ai diritti alla riservatezza su internet.
Viene chiarito che il gestore del motore di ricerca non può essere ritenuto responsabile per il contenuto pubblicato su altre pagine web di terzi. Ma le aziende che controllano e gestiscono i motori di ricerca sono sempre responsabili dell’indicizzazione, vale a dire i meccanismi che permettono di individuare le pagine. In caso di richieste di de-indicizzazione, si dovrà fare in modo che la pagina ‘incriminata’ appaia “in basso” nelle ricerche (pagina 7, 8 dei risultati di ricerca).
Vengono quindi chiarite le eccezioni alla regola. In caso di informazioni relative a problemi con la giustizia, il trattamento dei dati relativi alle infrazioni, alle condanne penali o alle misure di sicurezza può essere effettuato “solo sotto controllo dell’autorità pubblica”, e un registro completo delle condanne penali “può essere tenuto solo sotto il controllo dell’autorità pubblica”.
La sentenza giunge lo stesso giorno in cui la Corte di giustizia dell’UE stabilisce che il diritto all’oblio degli utenti su internet non ha portata globale, ma limitata ad uno spazio geografico. La non diffusione di informazioni relative a condanne, dunque, vale solo per tutti gli Stati membri dell’Unione europea. E’ un problema di vuoti normativi. La Corte ravvisa che “allo stato attuale non sussiste, per il gestore di un motore di ricerca, un obbligo di effettuare tale de-indicizzazione su tutte le versioni del suo motore”. In Europa c’è la legislazione europea che risolve il problema, stabilendo il diritto all’oblio.