Bruxelles – La buona notizia è che i numeri diminuiscono, la cattiva notizia è che l’Italia resta il primo Paese dell’UE per decessi da epatite C. Anche nel 2016, come nel 2015, il maggior numero di vittime si registra nello Stivale, secondo i dati Eurostat diffusi oggi, in vista della giornata mondiale contro l’epatite (28 luglio).
Nel 2015 in tutto il territorio dell’UE si sono registrati 7.293 morti, nel 2016 se ne sono contati 6.610. L’Italia non fa eccezione, e vede scendere il numero complessivo di infezioni letali da 2.885 a 2.745. Più di un terzo del totale delle vittime si registra in Italia, dunque.
L’Italia è il Paese europeo con il più alto tassi di mortalità per epatite C (HCV). Eurostat calcola 38 decessi per milione di abitanti, superando di molto il tasso medio UE (13 decessi per milione di abitanti).
Al di là di cifre e classifiche, l’epatite continua a rappresentare un problema per tutti, per il disappunto del commissario per la Salute, Vytenis Andriukaitis. “Mi rattrista vedere nell’UE il gran numero di persone che vivono con l’epatite B, che è prevenibile, e con l’epatite C, che è sia prevenibile che curabile”.
Allo stato attuale, ricorda Andriukaitis, medico prima ancora che commissario europeo, l’epatite virale B e C colpisce 325 milioni di persone in tutto il mondo, provocando 1,4 milioni di morti all’anno. “Eppure – denuncia – oltre l’80% delle persone affette da epatite manca di servizi di prevenzione, test e trattamento. Questa situazione può e deve cambiare”.
L’unica cosa da fare per Andriukaitis è “concentrare i nostri sforzi sulla prevenzione”. I vaccini sono uno degli strumenti per questa politica, ammette il commissario. I vaccini, dice, sono “il grande vicolo per la salute pubblica dei nostri tempi”. Però, sottolinea, “un vero investimento nell’eliminazione della malattia significa garantire che questi strumenti preventivi non siano solo disponibili, ma accessibili ai cittadini europei”. In aggiunta serve anche “un’assistenza mirata e di qualità”.