Tre anni sono una vita in politica. Tanto più per l’Unione europea e per il suo ruolo nel mondo. La Strategia globale dell’Unione europea (Eugs) è stata pubblicata esattamente tre anni fa, presentata agli Stati membri da Federica Mogherini, Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la sicurezza comune e vicepresidente della Commissione, appena due giorni dopo la decisione del Regno Unito di lasciare l’Ue.
La Brexit arrivava in un momento in cui l’Unione annaspava alla ricerca di una difficile unità. Unità ritrovata attorno alla Strategia globale. Concordata fra tutti gli Stati membri e le istituzioni europee, l’Eugs ha anche rappresentato l’espressione di un’Unione aperta e apparentemente unita, di fronte a un mondo sempre meno liberale e sempre più frammentato e instabile.
Il mondo attorno al Vecchio continente
Gli sviluppi nel resto del mondo non hanno reso le cose semplici. Attori esterni – alleati o avversari – hanno cercato di danneggiare, dividere o indebolire l’Unione in questi anni. La Russia non si limita più a ingerire nei rapporti con i partner orientali dell’Unione europea, ma cerca anche di interferire nei processi democratici degli Stati membri dell’Ue. L’ascesa della Cina non è percepita solo in Asia ma si manifesta sempre più in Europa, attraverso la Belt and Road Iniatiative, l’imponente iniziativa per potenziare le connessioni con un intento geostrategico sempre più chiaro. E poi ci sono gli Stati Uniti, un tempo il principale sostenitore del progetto europeo sin dalla sua nascita. Oggi a Washington siede però un’amministrazione con poca simpatia per l’Unione europea e per i valori che essa rappresenta. Lo scetticismo dell’attuale presidente degli Usa per un ordine globale multilaterale – che la Strategia definisce come un interesse esistenziale per l’Ue – è viscerale. L’Ue continua a lavorare con gli Stati Uniti ogni volta e lì dove è possibile, ma non può più rivolgersi in automatico a Washington per cercare soluzioni multilaterali a questioni globali urgenti.
Tutto ciò è accaduto in un momento di profondo cambiamento globale e regionale. La crescente competizione commerciale e tecnologica tra Stati Uniti e Cina dimostra non solo la messa in discussione dell’assetto multilaterale, ma anche che la crescente multipolarità del sistema internazionale è all’origine di nuovi conflitti e contestazioni.
Spostandoci più vicino al Vecchio continente, le aree limitrofe all’Unione europea, a est come a sud, continuano a presentare Stati fragili, conflitti e rivalità regionali – dai Balcani al Caucaso, dal Medio oriente al Sahel -, da dove emerge un (dis)ordine globale alternativo a quello basato su regole internazionali accettate da tutti. L’ambito della non-proliferazionee del controllo degli armamenti è un ottimo esempio. La violazione e il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dal Joint Comprehensive Plan of Action, l’accordo sul nucleare iraniano, da una parte, o la violazione russa e il ritiro di Washington dal Trattato sugli Euromissili (Inf), dall’altra, pongono minacce vitali per la sicurezza dell’Unione europea e del mondo. A questi sviluppi geopolitici se ne aggiungono altri, in particolare nelle aree del contrasto ai cambiamenti climatici, della demografia e della digitalizzazione. Tutte sfide che richiedono con urgenza soluzioni basate su regole multilaterali: trovarle è l’esercizio politico più importante della nostra epoca.
Verso un’Unione più autonoma e cooperativa
Tre anni dopo, le cinque priorità della Strategia globale dell’Ue – la sicurezza dell’Unione; la resilienza statale e sociale a est e a sud; l’approccio integrato ai conflitti e alle crisi; gli ordini regionali cooperativi; e la governance globale per il XXI secolo – sono ancor più attuali di quanto non lo fossero già nel 2016.
In alcuni campi sono stati compiuti dei progressi significativi. La sicurezza dell’Unione, in particolare nel settore della difesa, risalta a questo riguardo. Gli europei ora sanno e agiscono riconoscendo che la sicurezza, inclusa la difesa, è parte integrante del progetto europeo. La cooperazione strutturata permanente nell’ambito della difesa (Pesco), la revisione coordinata annuale sulla difesa (Card), la capacità militare di pianificazione e condotta (Mpcc), il Fondo europeo per la difesa (Edf) e la componente civile della politica di sicurezza e di difesa comune (Csdp) possono sembrare acronimi misteriosi per osservatori non europei. Eppure, per un’Unione che ha tradizionalmente lottato per compiere insieme anche i più piccoli passi in avanti in materia di sicurezza e difesa, queste iniziative, enunciate nella Strategia globale di tre anni fa e implementate in seguito, rappresentano un cambiamento paradigmatico nel progetto europeo. Ma non si tratta che dei primi pilastri costitutivi di un’Unione europea di sicurezza e difesa. La strada da percorrere è ancora lunga e irregolare; ma il viaggio è iniziato.
Gli eventi internazionali hanno anche reso sempre più necessaria la governance globale e la cooperazione regionale, anch’esse tra le cinque priorità dell’Eugs. Con il multilateralismo che è diventato il nemico pubblico numero uno dell’America di Trump – tuttora il primo e principale alleato della maggior parte degli Stati membri dell’Ue -, gli europei sono stati catapultati in un ruolo di responsabilità senza precedenti. L’Ue è sempre più chiamata ad esporsi a tutela dell’ordine internazionale in tutte le sue manifestazioni. Dagli investimenti nel sistema delle Nazioni Unite, comprese agenzie chiave come l’Unrwa, all’attuazione di accordi multilaterali come gli Obiettivi di sviluppo sostenibile e l’Accordo sul clima di Parigi, passando per i passi avanti compiuti nell’agenda del commercio internazionale in particolare con il Giappone e il Canada, sino ai tentativi fatti per salvare l’accordo nucleare iraniano e il sostegno a organizzazioni regionali come l’Unione africana e l’Asean.
L’Unione europea è diventata così un leader indispensabile nel sostenere il multilateralismo in tutto il mondo. Se l’Ue riuscirà in questo sforzo è, però, un’incognita. Che senza l’impegno attivo, creativo e persino testardo dell’Ue, il multilateralismo rischi di svanire è pressoché certo. E altrettanto certo è che l’Unione, che a sua volta rappresenta la forma più radicale di multilateralismo al mondo, non sopravviverebbe in un assetto internazionale in cui l’unilateralismo e il bilateralismo sono la norma.
Le crescenti turbolenze in corso nel Vicinato europeo, orientale e meridionale, suggeriscono che la resilienza e un approccio integrato ai conflitti e alle crisi sono ulteriori priorità individuate dalla Strategia ancora oggi decisamente all’ordine del giorno. In entrambe le aree, l’Ue ha compiuto progressi, in particolar modo per quanto riguarda il nesso sicurezza-sviluppo, nonché la cooperazione tra attori, strumenti e politiche di sicurezza interna ed esterna. Tuttavia, molto resta ancora da fare, in particolare per declinare resilienza e approccio integrato lungo la direttrice del nesso clima-sicurezza.
Il senso profondo di un’Europa multilaterale
La Strategia globale ha fornito all’Unione una narrativa strategica, alla quale non solo tutti gli Stati membri continuano ad aderire, ma nell’ambito della quale essi stessi si sono evoluti. La Strategia, insieme a una serie di sviluppi politici che l’hanno preceduta e seguita, ha anche contribuito a innescare diverse azioni legate alle cinque priorità individuate nel 2016.
Ma questo dovrebbe essere solo l’inizio. Sostenere un ruolo globale più efficace rappresenta l’ambizione per l’Unione europea di diventare un attore più autonomo nel mondo. L’obiettivo di tale autonomia, come suggerisce l’etimologia della parola stessa, è la capacità di vivere secondo le nostre leggi senza eccessive interferenze, attacchi e destabilizzazioni. Le leggi in questione – nazionali, europee e internazionali – sono lontane dall’essere protezionistiche o autarchiche. Inserite in un contesto europeo, che di per sé è la forma più consolidata di multilateralismo nella storia dell’uomo, queste leggi non possono che essere di natura cooperativa. Di fatto, con l’aumento della capacità di agire efficacemente, gli europei sviluppano in parallelo la capacità di lavorare con i partner. L’obiettivo dell’autonomia non è quindi quello di agire contro, ma semmai di agire insieme ai nostri partner. Solo come seconda scelta l’Ue deciderà di muoversi da sola.
L’ambizione di essere autonomi riguarda tutti gli ambiti dell’azione esterna: da sicurezza e difesa a commercio e finanza, da energia e spazio fino a nuovi campi come cyber e intelligenza artificiale. Comprende quindi l’autonomia strategica – che a sua volta implica capacità decisionali, capacità civili e militari, nonché la volontà comune di usarle -, ma non si limita alla difesa e alla sicurezza. Tutto questo, di sicuro, non si ottiene gratuitamente. La cooperazione sistematica europea, a cominciare dalla difesa, comporta certo risparmi reali attraverso la riduzione della frammentazione e della duplicazione, e una maggiore interoperabilità ed economie di scala. Ma essa vuol dire anche destinare nuove risorse all’azione esterna europea. Gli europei devono far seguire alle parole i fatti, se i loro interessi e principi lo richiedono.
Chiaramente cercare l’autonomia è un obiettivo di lungo termine. Il focus è incentrato sul raggiungimento di un più alto grado di autonomia rispetto all’esistente. Questo richiederà tempo, ma è un obiettivo raggiungibile nel tempo solo se l’azione comincia adesso.
Lo scopo dell’autonomia non è quello di ritirarsi nella chiusura e nel protezionismo. Né di partecipare alle rivalità fra potenze globali attualmente in corso. Un’Unione autonoma è in grado di interagire e impegnarsi con le potenze, grandi e piccole, ma nella ricerca di un ordine internazionale multilaterale fondato sulle regole. In fin dei conti, questo è l’unico modo in cui gli europei possono proteggere e promuovere i propri interessi a casa e nel mondo e rispettare i valori, i principi, le norme e le regole sanciti dai nostri Trattati.
Nathalie Tocci è direttore dell’Istituto Affari internazionali. Leggi il suo intervento su Affarinternazionali.it.