Ska Keller, candidata dei Verdi europei alla presidenza della prossima Commissione, è la migliore presidente che l’Unione potrebbe scegliere.
Non solo perché la protezione del clima, battaglia nella quale ovviamente il movimento/partito ambientalista si distingue, è in cima alle priorità dei cittadini europei, sopratutto dei giovani, ma perché è uno schema nuovo, è giovane (37 anni), è donna, è capace. Nella sua figura è rappresentata un’idea di futuro ‘positivo’, che è dove vivremo noi e i nostri figli.
I nomi dei candidati che circolano in questi giorni sono legati a un’Unione europea del passato. Il candidato più accreditato, il bravo Michel Barnier, ha 68 anni, ne avrà 69 nei primissimi mesi della prossima legislatura europea. Ha fatto tanto, ha fatto anche bene, ma ha fatto anche la sua epoca.
E l’ha fatta anche la Commissione Juncker e tutto ciò che essa rappresenta. Per dire quanto è oramai fuori dal tempo, fuori dalle sensibilità dei cittadini, basta guardare l’indice del libro pubblicato ieri dall’esecutivo europeo per celebrare i successi di questi ultimi cinque anni. Al primo punto c’è il “Piano Juncker” per gli investimenti. Chi ne sa qualcosa alzi una mano. Al secondo ci sono i “progressi nella situazione economica”. Chi se ne è accorto alzi una mano. Poi banche, tasse e all’ottavo punto troviamo la sicurezza. Questa sì, interessa. Le frontiere sono all’undicesimo posto, le politiche per i giovani al sedicesimo e al diciassettesimo la difesa del clima. Giustizia e diritti fondamentali sono l’ultimo punto.
Una scaletta che è più o meno il contrario delle priorità espresse dai cittadini nei vari sondaggi o consultazioni che si producono a bizzeffe in questi mesi.
Il prossimo Parlamento, è stato detto e ridetto, non avrà più una maggioranza autosufficiente di socialisti e popolari (che, per altro, era già saltata con l’elezione di Antonio Tajani alla presidenza, due anni e mezzo fa) e sarà necessario che le forze più saldamente europeiste trovino un’intesa per sostenere il prossimo presidente della Commissione, che sarà indicato, come prevedono le regole europee, dal Consiglio europeo, cioè dai governi, che hanno chiaramente detto di non sentirsi legati al sistema dello spitzenkandidat, cioè al dover indicare come presidente il candidato presentato dal partito che prenderà più voti alle elezioni. Anche perché, questa volta più che mai, non essendoci una maggioranza a priori in Parlamento non si vede perché il partito più grande dovrebbe prendere la presidenza obbligando gli altri a sostenerlo solo per un motivo dimensionale.
Sarà necessaria un’alleanza tra più forze, e quelle dalle quali si inizia a ragionare sono: popolari, socialisti, liberali e verdi, in ordine di grandezza presunta. Lo ha ammesso anche uno dei leader liberali, Guy Verhofstadt la scorsa settimana a Firenze: da questi quattro si parte.
E tra questi quattro, se si troverà un’intesa, perché dovrebbe emergere come leader un esponente del partito più grande? Se si crea una coalizione deve emergere il migliore, non quello con l’etichetta più larga.
Ska Keller rappresenta l’aria nuova, incontra, diremmo fisicamente, le priorità espresse dai cittadini europei, viene da un grande paese, fondatore dell’Unione, la Germania, che, lo vogliamo o no, è un fulcro attorno al quale l’UE gira, ma non è una popolare, non porta sulle sue spalle la responsabilità di errori del passato, come l’ormai coralmente condannata austerità.
Non ha esperienza di governo, è vero. Ma questo non può essere un ostacolo posto sulla sua candidatura, visto che nessuno lo ha posto per quella del popolare Manfred Weber, che ha un’esperienza politica non certo superiore a Keller, che tra l’altro parla le seguenti lingue, oltre al nativo tedesco: inglese, francese, spagnolo, turco e arabo. Già queste conoscenze mostrano un passo in più, un passo “nuovo”, una capacità di, per lo meno, dare una letta ai giornali di quei Paesi che affacciano sul Mediterraneo con i quali l’Unione ha tanto a che fare ma che tanto poco riesce a capire.
Sarebbe una mossa coraggiosa da parte dei governi e del Parlamento europeo, sarebbe un segnale che si cerca di cambiare qualcosa, ma senza saltare nel buio (Keller è eurodeputata da dieci anni, ed è co-presidente del gruppo dei Verdi), sarebbe un segnale di innovazione che metterebbe anche una forte protezione contro chi accusa l’Europa di scegliere “grigi burocrati” lontani dalla sensibilità dei cittadini. Sarebbe un atto di responsabilità verso i giovani ai quali dobbiamo consegnare un futuro decente, e questo richiede il coraggio di sparigliare, di provare a ricominciare da capo, a smontare un sistema che tenta aggiustamenti successivi senza riuscire a scrollarsi di dosso un passato, anche rispettabile, alle volte glorioso, ma che ha dimostrato di non saper guardare in avanti, più avanti di qualche mese. E sarebbe anche un segnale di saper scegliere un’onda tra le due sulle quali hanno nuotato i cittadini europei negli ultimi anni: quella verde e quella dei populisti. E non c’è bisogno di essere un sostenitore dei verdi per scegliere.