Bruxelles – I giornalisti in Europa sono 433mila, pari allo 0,2% di tutta le persone attive nel mondo del lavoro. Almeno così dicono i dati forniti da Eurostat e riferiti al 2018. Ma a guardare bene nell’insieme dei numeri riferiti alla voce “attività servizi di informazione” che indica i cronisti, qualcosa non torna. L’Italia, ad esempio. L’istituto di statistica europeo ritiene che nel Paese ci siano 51mila giornalisti, ma il dato non è esatto. Ce ne sono di più o di meno, a seconda che si considerino i diversi tipi di tesserino.
In Italia l’ordinamento nazionale distingue due tipologie di iscritti all’ordine: i giornalisti professionisti e i pubblicisti. I primi svolgono solo ed esclusivamente la professione, i secondi (in teoria) la praticano in aggiunta ad altre professioni. Ora, il problema è che nel 2018 gli iscritti all’albo dei professionisti risultavano meno di 30mila, mentre i nomi apposti sull’albo dei pubblicisti erano circa 75mila. Il dato italiano dunque non torna. Eppure a Lussemburgo non sembrano esserne convinti, dato che l’Italia non è tra gli Stati membri su cui risulta bassa affidabilità sui dati raccolti e forniti (è il caso di Croazia, Lituania, Romania e Slovacchia).
Dunque l’Italia ha un ‘esercito’ di giornalisti non riconosciuto nei suoi effettivi. A livello europeo, come dimostra l’Eurostat, e a livello nazionale. Il dato italiano riaccende la questione della professione in Italia, e del diverso trattamento degli iscritti. Va considerato giornalista solo chi ha un contratto di categoria o chi ha il proprio nome su un albo? In entrambi casi la situazione va chiarita. I professionisti lavorano a partita Iva o a contratto atipico, e comunque non sono quanti indicati da Eurostat.
Considerando che professionisti e pubblicisti insieme raggiungono quota 100mila, il numero più elevato d’Europa, in Lussemburgo sembra che nessuno abbia spiegato bene come stanno le cose in Italia.