Bruxelles – “Mi chiamo Greta Thunberg, ho 16 anni, vengo dalla Svezia, e voglio mandarvi nel panico”. Si presenta così la giovane attivista ai membri della commissione Ambiente del Parlamento europeo. L’istituzione comunitaria chiama, lei, Greta, risponde. Viene ad incontrare i politici comunitari, per ricordare loro che non c’è tempo. “Abbiamo ancora una finestra d’opportunità, ma non resterà aperta per molto”.
Ecco quindi il momento promesso a tutti. Lo scenario apocalittico di un futuro probabilmente probabile e neppure tanto lontano. “Attorno all’anno 2030, a dieci anni e 259 giorni da oggi, ci troveremo in una posizione che scatenerà una reazione a catena irreversibile e che ci condurrà con ogni probabilità alla fine della nostra civiltà”.
Ricorda i tanti studi scientifici, cita l’IPCCC, il comitato per i cambiamenti climatici delle Nazioni Unite che da anni recita la parte della Cassandra del clima, profeta inascoltata di sventure. In queste ore tutta l’attenzione è la cattedrale di Notre Dame a Parigi, quando dovrebbe essere rivolta altrove secondo Greta. “Ci sono edifici che sono più di semplici edifici, ma Notre Dame sarà ricostruita”. Una cosa che non può essere fatta per il pianeta. “Siamo nel mezzo della sesta estinzione di massa, con un tasso di estinzione diecimila volte più rapido del normale”, avverte.
Ricorda che ogni giorno ci sono circa 200 specie viventi che diventano a rischio estinzione, ricorda l’inquinamento dell’aria e l’acidificazione degli oceani. Nel farlo la voce trema, viene a mancare. La giovane attivista si ferma, riprende fiato. Stesso problema. Sta per piangere in diretta, e riceve un caldo applauso dell’Aula. Non quella del Parlamento europeo, quello della commissione Ambiente del Parlamento europeo, perché qualcuno in Plenaria la giovane svedese non l’ha voluta far entrare.
“Ho sentito che certi partiti politici non volevano che fossi qui, oggi, perché vogliono disperatamente evitare di parlare di cambiamenti climatici”, accusa. I nomi che non fa la giovane li fanno la socialista belga Kathleen Van Brempt e il suo gruppo parlamentare, quello dei socialdemocratici (S&D). “Se solo il gruppo PPE ti avesse permesso di parlare in Plenaria…”, scrivono. Quel tanto che basta per fare la lista dei cattivi. Nella quale Greta iscrive anche i capi di Stato di governo. “E’ stato organizzato un summit straordinario per la Brexit, ma nessun summit d’emergenza è stato convocato per le questioni climatiche…”.
“Voglio dire a tutti i giovani che il Parlamento europeo è a loro fianco e che non lascerà cadere il loro grido d’allarme”, garantisce Antonio Tajani, presidente dell’Eurocamera ed esponente del PPE, quel PPE che ha chiuso le porte della plenaria in faccia a Greta. A cui si offrono rassicurazioni circa l’agenda politica. “Il Parlamento – scandisce Tajani – ha proposto di dedicare almeno un quarto del prossimo bilancio alla sostenibilità e il 35% dei fondi per la ricerca alla lotta al cambiamento climatico”. Promesse fatte da un Parlamento a fine legislatura, che non può garantire che i prossimi deputati terranno fede agli impegni annunciati.
Ancora meno Greta sembra ottenere dalla presidenza romena del Consiglio UE, il cui obiettivo è avere “un ampio dibattito su tutti i settori interessati” dall’agenda europea per il clima. Nessun riferimento a risultati da parte di Melania Gabriela Ciot, responsabile per gli Affari europei del governo di Budapest. “Vi prego di non fallire” sul clima, la richiesta di Greta. Ne va della vita di tutti.