Bruxelles – In seguito alle raccomandazioni rilasciate dalla Commissione Europea sulla salvaguardia dei network 5G ed alla comunicazione delle linee guida che tutti gli Stati dovranno seguire per la costruzione di una rete sicura, Huawei è riuscita ad uscire quasi illesa dalle pressioni che il governo Statunitense stava ponendo sulle istituzioni europee per cacciare l’azienda cinese dal mercato unico e quindi dalla possibilità di partecipare alle gare di appalto per la costruzione delle infrastrutture necessarie per l’utilizzo della banda di quinta generazione.
“Quasi illesa” dal momento che la società ha subito un importante attacco alla sua immagine, che ora prova a riparare mostrandosi quanto mai vicina ai paesi europei. Mossa necessaria dal momento che se anche la Commissione ha deciso di non escludere il colosso cinese in maniera diretta, ha lasciato comunque agli Stati membri la decisione di applicare o meno il divieto proposto dagli Stati Uniti.
Per non rischiare di perdere uno dei mercati digitali più importanti del mondo, con oltre 500 milioni di possibili fruitori dei loro servizi, Huawei ha così organizzato una conferenza nel suo nuovo centro europeo per la trasparenza e la sicurezza informatica a Bruxelles per discutere dell’affidabilità della compagnia. Qui alcuni manager dell’azienda hanno fatto notare come tra le più grandi preoccupazioni rivolte nei loro confronti vi siano quelle di eventuali backdoors (una “porta di servizio” che permette di accedere ad un sistema informatico in una maniera tale che l’atto rimanga sconosciuto alla vittima, e comunque effettuato in maniera indiretta e spesso fraudolenta), o più generale di problemi relativi allo spionaggio da parte del Governo di Pechino.
Il lavoro fatto da Huawei è stato quello di aver mostrato come da un punto di vista legale cinese, ma anche nel modo di operare della stessa società, non si intravedano problemi di alcun genere inerenti la sicurezza dei loro apparecchi. È vero dice Sophie Batas, direttrice per la cybersicurezza e la privacy dei dati presso Huawei, “che l’articolo 77 della legge sulla sicurezza dello Stato (cinese) stabilisce l’obbligo per le organizzazioni e le persone di fornire assistenza per i lavori relativi alla sicurezza dello Stato” ma, riassumendo, la norma “non può essere applicata fuori dai confini dello Stato cinese e soprattutto non può violare le leggi di altri Stati”. Senza contare il fatto che non consente in nessuna maniera a Pechino di richiedere ai produttori l’inserimento di backdoors sui loro dispositivi.
Si è tenuto poi a sottolineare come l’azienda in 18 anni di cooperazione in Europa, non è mai stata vittima di rivelazioni riguardo la scoperta di backdoor e di come non abbiano mai affrontato nessun evento eclatante di cybersecurity.
Huawei dunque vuol mostrare serietà nel trattare la faccenda, conscia delle perdite cui andrebbe incontro nel caso decidesse di non affrontare il problema, ma spesso tra le parole ed i fatti c’è una mare di mezzo, come alcune faccende riguardanti gli Stati Uniti ci hanno dimostrato. Non è una novità che molte volte gli stessi governi mantengano per se stessi determinate informazioni su eventuali falle nei sistemi delle loro compagnie produttrici di software e hardware, e che utilizzino queste debolezze per carpire informazioni sui loro bersagli in maniera del tutto indisturbata. La domanda dunque viene da se: siamo sicuri che la Cina sia diversa dagli USA? Sarà in ogni caso responsabilità degli Stati membri dell’Unione ora assumersi la responsabilità di assicurare una connessione e navigazione sicura e a prova di furti ai propri cittadini.