La decisione della Commissione europea di non organizzare nessuna celebrazione in occasione del centenario della Prima guerra mondiale, per quanto possa apparire rinunciataria, è più che mai opportuna ed è forse anche un involontario messaggio politico.
La visione conflittuale sulla Grande Guerra che gli Stati membri ancora coltivano, produce inevitabilmente il silenzio dell’Unione europea. E questo è ancor più significativo se si pensa che invece la Seconda guerra mondiale non suscita più visioni contrastanti ma è divenuta in Europa una memoria condivisa. La ragione principale dell’indigeribilità della Grande Guerra è che essa sta ancora alla radice della questione europea. Il crollo degli imperi non ha liberato le nazioni come tanti patrioti affermavano, ma ne ha riconosciute alcune contro altre in un domino infinito di ripercussioni. E l’errore continua ancora oggi, perché lo stesso modello di costruzione del progetto politico europeo sempre più si vuole associazione di stati sovrani e non unione di popoli come era nelle intenzioni dei suoi padri fondatori.
La costruzione europea, come fu intesa da Schuman, Monnet, Adenauer e De Gasperi, doveva incentrarsi su istituzioni nazionalmente neutre, che operassero per un comune interesse europeo e sovranazionale. Oggi invece le istituzioni europee assumono sempre di più il carattere di arena di mediazione fra diversi interessi nazionali dove sono i governi, attraverso i loro emissari, a guidare il gioco e non i popoli attraverso la rappresentanza parlamentare. Anche i gruppi politici nel Parlamento europeo faticano a farsi espressione di categorie sociali e di interessi comuni transnazionali ma tendono invece a frammentarsi in protettorati locali. Un diverso modo di intendere la rappresentanza democratica, e forse ugualmente legittimo, ma con conseguenze profondamente diverse quando lo si guarda nel lungo termine degli equilibri geopolitici.
Spostando la bussola europea sugli Stati, inesorabilmente si riporta in prima linea proprio quello che i padri fondatori volevano scongiurare: il nazionalismo. E allora va da sé che la Grande Guerra diventa un nervo sensibile, perché da essa sono nati i nazionalismi che la storia ha poi successivamente diviso fra leciti e illeciti. Non ultimi, quelli della ex-Iugoslavia, talvolta suscitati dall’intervento come dall’immobilismo europeo. Non dimentichiamo che dinanzi alle guerre iugoslave l’unica soluzione che l’Europa fu in grado di offrire fu quella del nazionalismo, come ai vecchi tempi del Trattato di Versailles. Spartitevi e poi vedremo cosa possiamo fare per voi, fu il messaggio indiretto di molti governi europei ai popoli iugoslavi che si scannavano sulle loro incongrue frontiere. Le frontiere, il vecchio, inestinguibile dramma europeo. Bisognava averne una per esistere come nazioni e ora anche cancellate risorgono. Nel 1991, Germania, Austria e Vaticano furono i primi a riconoscere l’indipendenza di Slovenia e Croazia, riportando vertiginosamente le lancette della storia europea al 1915 e dimostrando che in fondo la Grande Guerra non era ancora finita. Non è ancora finita oggi ed è inevitabile che appena se ne riparli sia proprio dai Balcani che vengono le visioni più opposte.
Anche i nuovi populismi anti-europei dei paesi occidentali è allo stesso nazionalismo che si abbeverano ravvivando paure di supremazie imperiali travestite. Se per il Regno Unito la Prima guerra mondiale resta una catastrofe necessaria per scongiurare l’espansionismo germanico e per la Francia il tanto atteso riscatto di Sédan, per i nuovi paesi sorti dal crollo dell’impero asburgico essa è l’origine di controversie ancora attuali. Andate a parlare di autodeterminazione dei popoli in Alto Adige o in Transilvania. Provate anche solo a insinuare a Belgrado che fu tutta colpa della Serbia e provate a spiegare ai serbi perché la federazione iugoslava era una cosa sbagliata e quella tedesca no. Per noi italiani la Grande Guerra fu la catastrofe assoluta: milioni di morti, occupazione di terre non italiane e evento fondante del fascismo. Ma c’è ancora chi in Italia la chiama Quarta guerra di indipendenza e completamento dello Stato unitario.
Di fatto, la Grande Guerra segnò la fine della supremazia europea nel mondo. Sarebbe bello pensare che più di ogni altra, sia questa la ragione che ispira il silenzio della Commissione europea sulla sua commemorazione. Comunque sia, per trovare la via della sua futura costruzione, l’Europa ha bisogno di affrontare le divisioni che ancora suscita la Grande Guerra e soprattutto di superare una volta per tutte la trappola del nazionalismo. Se si continuerà a fondare il progetto europeo sull’idea politica dello stato sovrano con tutto il suo armamentario patriottico, non si farà che alimentare un’inarrestabile frammentazione dell’Europa in nazioni sempre più piccole, sempre più chiuse, al servizio di sempre più angusti egoismi. Bisogna con urgenza dare agli europei qualcosa di grande a cui guardare.
Diego Marani