Di Michele Valente
Le disparità digitali, dentro e fuori l’Unione europea, sono il prisma per leggere alcune tra le più problematiche forme di divario che investono l’accesso alla Rete, il commercio online e la sicurezza nella navigazione web. La progressiva convergenza delle tecnologie digitali ha integrato milioni di persone in un ambiente sempre più interconnesso e dinamico sul piano socio-economico e della partecipazione politica, non autoimmune, tuttavia, da rischi e minacce per il traffico di dati e informazioni. L’impatto del digitale nella vita quotidiana viene giudicato nel complesso ‘positivo’ dai cittadini europei, come riporta un sondaggio di Eurobarometro (2017). Il 75% degli intervistati ritiene le tecnologie digitali utili allo sviluppo economico, il 67% al miglioramento della qualità della vita e il 64%, in generale, sulla società. Tra questi, 2 cittadini su 3 (69%) chiedono una maggiore velocità e sicurezza nelle connessioni, mentre per il 41% delle opinioni rilevate è necessario, inoltre, che le misure sul digitale vengano prese a livello Ue, con un 57% che domanda una maggiore implementazione digitale dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni.
Un’Unione europea a misura digitale
I tre pilastri della strategia sul mercato unico digitale 2014-2020, promossa dalla Commissione Juncker, considerano la rapidità dei cambiamenti nell’odierna ‘società dell’informazione’, mirando a garantire equo accesso ai beni online per consumatori e imprese, sviluppo delle reti e delle tecnologie digitali e un ambiente digitale come motore della crescita. L’eliminazione, nel dicembre dello scorso anno, del geo-blocking rappresenta un ulteriore avanzamento nell’integrazione economico-commerciale europea, poiché favorisce una maggiore accessibilità transfrontaliera servizi di trasporto, finanziari e audiovisivi. Tale misura ha posto fine alle discriminazioni negli acquisti online basate sulla nazionalità e sul luogo di residenza: nel 2015, infatti, è stato bloccato il 63% delle transazioni online per l’acquisto di merci da un altro paese Ue. Nella strategia complessiva, tappe fondamentali sono state anche l’abolizione del roaming nel giugno 2017 e la portabilità transfrontaliera dei prodotti online (ebook, musica, etc.) all’interno dell’Ue, dall’aprile 2018, verso l’obiettivo finale, fissato per gennaio 2021, di norme IVA semplificate per agevolare il commercio online.
E-commerce tra interscambio digitale e flusso delle merci
La necessità di eliminare le barriere economiche e regolamentare il mercato europeo è prioritaria nella crescita dell’e-commerce. Secondo un rapporto dell’International Post Corporation, nel 2018 lo shopping da mobile si è attestato intorno al 28% delle preferenze dei consumatori, con un 20% dei clienti che effettua almeno un acquisto online a settimana. La maggior parte dei prodotti acquistati nei paesi Ue è importato dalla Cina – con quote variabili dal 61% dell’Ungheria al 35% dell’Italia – seguita a distanza dalla Germania – al 70% in Austria ma solo all’8% in Spagna. Il Regno Unito esporta nei paesi continentali la maggior parte delle merci acquistate online dai cittadini-consumatori europei, con quote di mercato tra il 7% e il 15%, che gli effetti della Brexit sull’interscambio con l’Ue, potrebbero ridurre. Piattaforma leader nel settore delle vendite online è Amazon, con una quota su base globale pari al 38% e in netto vantaggio sugli altri competitors anche nel mercato Ue. Su questo fronte, la recente approvazione di un regolamento (15786/2018) volto a garantire “un contesto imprenditoriale equo, trasparente e prevedibile” per gli operatori online mira alla fondamentale tutela della libera concorrenza, ponendo rimedio agli squilibri creatisi tra le circa 7000 piccole e medie imprese operanti nel mercato digitale europeo – il 42% nella vendita di prodotti e/o servizi online – e la ristretta cerchia delle big companies. Da una valutazione d’impatto della Commissione europea risulta che quasi il 50% delle imprese che opera online riscontra problemi con la piattaforma di vendita: il 38% di queste denuncia problemi contrattuali irrisolti mentre il 26% riscontra difficoltà nella risoluzione delle controversie, con una perdita diretta nelle vendite stimata tra 1,2 e 2,3 miliardi di euro. Al centro del regolamento, il divieto di pratiche sleali verso condizioni contrattuali più chiare, una maggiore trasparenza nelle pratiche commerciali e nuove forme di risoluzione delle controversie.
Connessione nodo critico nel ‘mercato unico digitale’
Secondo un rapporto della Corte dei conti europea (Special report 12/2018) sulla penetrazione della banda larga nei paesi Ue, ‘nonostante i progressi, gli obiettivi di Europa 2020 non verranno raggiunti’. In effetti, l’Agenda digitale europea, lanciata dalla Commissione Barroso nel 2010 e confluita nel 2015 nella strategia per il mercato unico digitale, sembra aver centrato l’obiettivo di breve termine: connessione di base per tutti i cittadini europei entro il 2013. Tuttavia, non verranno raggiunte le soglie prefissate per la la connessione veloce (per tutti al 2020) e ultra-veloce (50% degli utenti europei). A pesare, soprattutto, è la scarsa redditività dell’investimento per i privati nella copertura delle aree rurali: nel 2017, a livello nazionale, 14 paesi su 28 registravano livelli inferiori al 50% nella ‘fast broadband’ e solo il 15% degli utenti aveva sottoscritto una connessione garantita oltre i 100 Mbps. La Corte dei Conti, menzionando uno studio statunitense, segnala che un incremento del 10% nella connessione a banda larga potrebbe generare un aumento del Pil pari al 1% e migliorare, in cinque anni, la produttività del 1.5%, oltre ad incidere positivamente sulla qualità dell’educazione e l’inclusione sociale.
Proteggere le Rete dalle minacce informatiche, verso una cyber-security europea
Il maggior afflusso di dati e informazioni sensibili in Rete necessita di adeguate misure di sicurezza online contro attacchi informatici sempre più sofisticati. La Commissione europea, nel settembre 2017, ha presentato una proposta finalizzata a rafforzare le competenze dell’Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione (ENISA), l’introduzione di un sistema di certificazione comune sulla sicurezza informatica, oltre alla rapida attuazione della direttiva del 2016 sulla sicurezza delle reti e dei sistemi informativi (direttiva NIS, che si applica agli operatori dei servizi essenziali e ai fornitori di servizi digitali). In Italia, quest’ultima è stata attuata solo a fine giugno 2018, in netto ritardo rispetto agli altri grandi paesi europei (Regno Unito, Germania, Francia, Spagna), che stanno ultimando, con le autorità preposte, una strategia nazionale. La moltiplicazione degli scenari di rischio nelle telecomunicazioni e la progressiva implementazione di ‘Internet delle cose’ impongono azioni mirate, in particolare, alla sicurezza nello scambio dei dati in Rete. Infatti, secondo un documento del Commissione europea (ottobre 2018) gli attacchi informatici arrecano oneri per l’economia mondiale pari a 400 miliardi di euro. Per ridurre la percezione di insicurezza degli utenti, che erode la fiducia dei cittadini e impatta negativamente sui consumi, occorre in primo luogo migliorare l’informazione: in un sondaggio della Commissione europea (ottobre 2018), il 51% degli intervistati si ritiene disinformato in materia mentre il 69% delle imprese dichiara di avere solo competenze di base. Con il ‘Cybersecurity act’, regolamento approvato dal Consiglio europeo nel dicembre 2018, tra gli ultimi provvedimenti presi nell’ambito della strategia sul ‘mercato unico digitale’, si raggiungono standard più efficienti nella gestione delle minacce nelle telecomunicazioni attraverso il consolidamento dei compiti di sorveglianza da parte dell’ENISA.