Bruxelles – L’inflazione cala. Tra novembre e dicembre è scesa dall’1,9% all’1,6% nell’eurozona, dal 2% all’1,7% nell’Ue. La politica monetaria della Banca centrale europea sembrava essere riuscita a garantire l’obiettivo dell’indice del costo della vita al 2%: da luglio a novembre il dato non era mai sceso al di sotto di tale soglia, adesso invece tutto viene messo in discussione.
Le principali economie dell’area euro vedono l’indice dell’inflazione in frenata. In Italia, stando agli ultimi dati Eurostat, si registra all’1,2% (dall’1,6% di novembre), in Germania si attesta all’1,7% (dal 2,2%), in Francia all’1,9% (era al 2,2%). In generale solo tre sono i Paesi dell’area euro con un indice inflattivo pari o superiore al 2% (Belgio, Estonia e Lettonia), obiettivo dichiarato delle politiche comunitarie, e nell’Ue sono sette su 28.
L’inflazione bassa è certamente un bene per le famiglie, che vedono aumentare il loro potere d’acquisto, ma non lo è per i sistemi Paese. Un’inflazione inferiore alle attese può incidere sulla capacità di un debitore di onorare i propri impegni. I debiti sono definiti al valore nominale (cioè teorico) anziché in valore reale (quello che tiene conto delle dinamiche di domanda e offerta, e delle questioni monetarie, come svalutazione e appunto inflazione). Se l’inflazione scende a livelli più bassi di quelli previsti nel momento in cui il debito viene contratto, gli oneri aumentano. Per i paesi molto indebitati come l’Italia è un problema.