Chi non può candidarsi (Berlusconi) e chi invece ha proprio fretta di farlo (Rehn). Le elezioni europee del prossimo maggio stanno iniziando a movimentare la vita politica del vecchio continente, e questa volta, chissà, magari riusciranno ad avere un impatto un poco più significativo del solito sui cittadini. Se non altro perché molti protagonisti della vita politica, a vario titolo, saranno in campo grazie alla scelta fatta dai deputati europei di indicare, per ogni partito europeo, un candidato alla presidenza della Commissione.
In Italia in questi giorni se ne parla, ipotizzando una candidatura in un altro paese dell’Unione di Silvio Berlusconi, pensata per aggirare la legge italiana che lo ha privato dell’elettorato passivo. Dovrebbe acquisire una nuova cittadinanza e sarebbe forse un deputato “maltese” o “bulgaro”, ma avrebbe di nuovo una minimo di immunità. Non sappiamo se potrebbe mettere piede in Italia senza rischiare l’arresto, ma Malta è un posto splendido.
Una cosa molto più seria per l’Europa è invece l’intempestiva decisione di Olli Rehn di annunciare già domenica scorsa che si candiderà alle prossime elezioni parlamentai europee con i liberali (il suo partito) e che correrà anche per la presidenza della Commissione. Non ho particolare stima di Rehn come commissario. E’ un uomo simpatico (nella freddezza finlandese) e credo sia una persona molto per bene. Ma sino ad oggi non ha mostrato doti di leadership tali da farlo immaginare come un buon presidente della Commissione. Però che ambisca a far carriera ci sta. Quello che proprio non va bene è che con sei mesi di anticipo abbia annunciato che correrà per diventare deputato europeo e leader di una famiglia politica (combattendosi la nomination con il belga Guy Verhofstadt). Che credibilità ha quando poi parla della situazione italiana (governo di grande coalizione guidato da un premier che partecipa alle riunioni del Pse) o se commenta la situazione Grecia (premier popolare) o in Olanda (premier liberale)?
Da domenica un Rehn che cerca il consenso elettorale dell’austero popolo finlandese (uno di quelli il cui governo avrebbe anche lasciato affogare Grecia, Portogallo e Irlanda) non ha più la credibilità che aveva un Rehn leader liberale che svolgeva i suoi compiti di commissario sotto giuramento di imparzialità. Ne ha parlato anche il capogruppo europeo del Nuovo Centro Destra Giovanni La Via, commentando la nota intervista a la Repubblica concessa oggi: “La sua decisione di correre per la presidenza della Commissione europea con il partito dei liberali europei rende queste sue parole sempre meno ascrivibili al suo ruolo istituzionale”. Diventa un bersaglio facile.
In Commissione si tenta di sminuire la portata della questione, si dice che legalmente è tutto a posto, che poi il presidente José Manuel Barroso deciderà quando invitare Rehn ad autosospendersi dal ruolo di commissario (l’obbligo scatta circa sei settimane prima del voto). La questione però è di opportunità politica. Non abbiamo dubbi che le prossime valutazioni sulle politiche economiche degli stati membri che Rehn illustrerà in febbraio saranno quanto di più trasparente si possa immaginare, ma la penseranno così anche i capi dei governi che saranno messi sotto accusa? La penserà così tutta la stampa e tutti i cittadini? O magari, anche pensandola così, in quanti non attaccheranno commissario e Commissione perché, si sa, lui è in piena campagna elettorale?
Quello del commissario finlandese è un portafoglio impegnativo, va saputo portare.
Lorenzo Robustelli