La Cina ha invaso lo spazio aereo giapponese sopra le isole Senkaku istituendo una “zona di identificazione per la difesa aerea”. Conteso per ragioni storiche ed economiche, l’arcipelago appartiene al Giappone in base ad un accordo con gli Stati Uniti
L’Unione europea guarda con “preoccupazione” gli ultimi sviluppi in estremo oriente, dopo la decisione della Cina di stabilire una “zona di identificazione per la difesa aerea” nel mar cinese orientale, zona che si sovrappone parzialmente allo spazio aereo giapponese intorno all’arcipelago delle isole Senkaku. L’annuncio cinese è arrivato due giorni fa, e l’Unione europea ha atteso di capire come si potesse evolvere la situazione. Le cose, a due giorni dall’annuncio della creazione della zona di identificazione per la difesa aerea, sembrano mettersi male. Per stessa ammissione di Catherine Ashton, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, “l’Unione europea è preoccupata dalla decisione presa dalla Cina sulla zona di identificazione sul mar cinese orientale”. A inquietare Bruxelles “gli annunci del ministero della Difesa cinese di ‘misure di difesa d’emergenza’ in caso di mancato rispetto della zona” appena istituita da Pechino.
La situazione di oggi è frutto di rivendicazioni cinesi mai cessate sulle isole Senkaku. L’arcipelago attualmente appartiene al Giappone: fanno parte della prefettura di Okinawa e sono amministrate dalla municipalità di Ishikagi. Ma la questione delle isole Senkaku si intreccia con la storia di questo quadrante del mondo, in una delle più delicate eredità lasciate dai conflitti di fine Ottocento. Le isole in origine erano controllate da Taiwan, che nel 1683 la Cina imperiale annesse al proprio impero. La guerra sino-giapponese del 1894-1895 determinò il passaggio di Taiwan e delle isole Senkaku al Giappone, dando inizio alle rivendicazioni che si protraggono ancora oggi.
La vicenda è resa ancor più intricata dalle rivendicazioni di Taiwan, una delle due Cine esistenti. Nel 1949, a seguito della sconfitta nella guerra civile cinese e la presa del potere dei maoisti, i nazionalisti di Chiang Kai-Shek fuggirono dalla Cina continentale rifugiandosi sull’isola di Formosa e dichiarando la nascita della Repubblica di Cina, conosciuta anche come Taiwan. Da allora, sia la Repubblica di Cina (Taiwan) che la Repubblica popolare cinese rivendicano la propria sovranità sulle isole Senkaku, con Pechino che allo stesso tempo considera Taiwan come parte del proprio territorio nazionale e la rivendica in questa formula.
Ma c’è di più: lo status dell’arcipelago conteso è frutto del trattato di pace firmato dal Giappone al termine della seconda guerra mondiale. Il trattato di San Francisco (1951) sancì l’avvio del protettorato degli Stati Uniti sul Giappone, e quando nel 1969 Stati Uniti e Giappone firmarono il trattato di reversione sulle isole Okinawa, le isole Sensaku vennero restituite al Giappone. Le rivendicazioni di Pechino hanno assunto motivazioni non solo più storiche e geografiche nel 1969: in quell’anno la Commissione economica e sociale per l’Asia ed il Pacifico dell’Onu annunciò di aver individuato potenziali riserve di petrolio e gas in prossimità delle isole contese.
La decisione della Cina di stabilire una “zona di identificazione per la difesa aerea” nel mar cinese orientale investe una realtà che non riguarda solo i rapporti Pechino-Tokyo-Taipei. Per questo motivo oggi “l’Ue invita tutte le parti alla cautela e alla moderazione”. L’iniziativa della autorità di Pechino, avverte Ashton, “contribuisce ad un aumento delle tensioni nella regione”, dove l’uso di spazi aereo e marittimo “sono disciplinati dal diritto internazionale”. Ashton, nel sottolineare che “azioni che possano infrangere o possa dare l’impressione di infrangere tali regole non porteranno ad alcuna soluzione”, fa appello a “mantenere la calma”.
Renato Giannetti