Ringrazio Ricky che mi ha segnalato il manifesto “Non Eravamo i PIIGS. Torneremo Italia”. Il documento, preparato dagli economisti Warren Mosler (uno dei più conosciuti fautori della Moderna Teoria Monetaria), Mathew Forstater, Alain Parguez e il giornalista eretico italiano Paolo Barnard, propone un ritorno unilaterale dell’Italia alla lira e una messa in pratica nel nostro paese delle tesi della scuola economica che si rifà alla Modern Monetary Theory (MMT). Dirigo, insieme al teologo Vito Mancuso, una collana di teologia che si chiama “Campo dei Fiori” in onore di Giordano Bruno. Ho simpatia per gli eretici come Barnard, anche se su molti punti, alcuni cruciali, non sono d’accordo con lui. Ma devo riconoscergli che, al contrario di molti altri, lui cerca di andare oltre i soliti conformistici articoli sulla crisi che leggiamo troppo spesso sui giornali italiani (e anche su quelli stranieri).
Poiché la tesi dell’uscita della lira dall’Euro è legata alle teorie della Moderna Teoria Monetaria, bisogna cercare di capire che cos’è quest’ultima, portata avanti soprattutto dalla sinistra del Partito Democratico americano (tra i suoi più accesi sostenitori c’è l’economista James K. Galbraith, docente di Scienza delle Finanze all’università del Texas, figlio del celebre economista John Kenneth Galbraith, il più grande studioso della crisi del ’29, consigliere, non si sa se ascoltato o meno, di Barack Obama).
Essendo una teoria propugnata da quella parte della sinistra americana che si è battuta affinché fosse eletta Janet Yellen alla guida della Federal Reserve (a proposito, c’è qualcuno che ha capito il sacro mistero del perché Obama preferisse Lawrence Summers, noto trafficante di Wall Street, consulente di hedge fund, ispiratore della nefasta politica di deregulation sotto la presidenza Clinton, alla Yellen, che ha sempre lavorato nel pubblico e a Wall Street non ha mai messo piede?), solo per questo andrebbe presa molto sul serio anche dalla sinistra nostrana, sia quella renziana che quella cuperliana o lettiana, che sulle questioni economiche è ancora danneggiata pesantemente dalla disastrosa decisione di sposare le teorie neoliberiste, proprio nel periodo in cui la MMT cominciava ad affermarsi, all’inizio degli anni Novanta.
Mi sembra che sia una teoria che dovrebbe essere senz’altro sposata dalla sinistra, poiché mette al primo posto come suo obiettivo la creazione di posti di lavoro. Mi sembra di aver sentito Renzi argomentare da Fabio Fazio – giustamente, aggiungo – che il problema principale dell’Italia, e su questo penso nessuno possa contraddirlo, sia la disoccupazione. Io aggiungerei che tutte le risorse intellettuali residue nel Partito Democratico dovrebbero essere concentrate sullo studio di come trovare soluzioni a questo problema. Non basta dire in un talk show che la disoccupazione è il problema principale dell’Italia. Bisogna provare ad azzardare anche qualche terapia o medicina che possa avere qualche effetto sul paziente malato. Non so se il consulente economico di Renzi, Yoram Gutgeld, ex consulente di una società, la McKinsey, che ha sempre sostenuto le teorie della shareholder value, e cioé che la creazione di valore per gli azionisti debba essere l’unico e principale obiettivo di un azienda, sia la persona giusta per dare consigli a Renzi.
Purtroppo, il problema della Modern Monetary Theory (MMT) è che finora nessuno è riuscito a fare una narrazione plausibile e convincente della teoria fuori dal mondo accademico (se non fosse così, avrei piacere che me lo segnalaste). Provo a raccontarla con parole mie, nel modo più semplice possibile, sperando di averla capita per bene.
Il punto di partenza per capire una teoria monetaria sulla moneta è quello di porsi una domanda che può in apparenza sembrare banale ma di fatto non lo è: che cos’è la moneta? Se facessimo questa domanda a Mario Draghi o al prossimo governatore della Federal Reserve, Janet Yellen, forse neanche loro riuscirebbero a dare una risposta precisa, o almeno la stessa risposta. I teorici della MMT partono da un fatto fondamentale, e cioè dal fatto che a partire dal 15 agosto 1971, cioè da quando il presidente statunitense Richard Nixon sospese unilateralmente la conversione in oro del dollaro, la moneta appartiene a un genere mai prima visto nella storia, quello della moneta fiat.
Basta un soffio, un fischio o una magia, come fa Mefistofele nel Faust di Goethe, e la moneta si crea dal nulla. Questo cambiamento, secondo i teorici della MMT – ma già Keynes, quando nel 1930 pubblicò il suo Trattato sulla Moneta (Treatise on Money), aveva anticipato alcune delle loro conclusioni –, rimette totalmente in discussione le assunzioni fatte nei vecchi manuali di macroeconomia. Fino al 1971 vivevamo in un sistema economico delineato a Bretton Woods nel 1944, cioè quello di una moneta convertibile in oro e un sistema di cambi fissi (che potevano essere modificati solo secondo le procedure previste). Oggi viviamo in un mondo in cui in cui i cambi sono flessibili e non c’è nulla dietro la moneta. Se portate 35 vecchi dollari alla Federal Reserve americana non vi danno più un’oncia d’oro, ma vi daranno altrettante banconote, magari meno sgualcite.
Il Gold Exchange era stato introdotto in Inghilterra all’inizio dell’Ottocento e aveva resistito fino alla prima guerra mondiale. C’era stato un tentativo di reintrodurlo dopo la fine della guerra ma nel 1931 il Regno Unito era stato costretto ad abbandonarlo. L’oro era il principale strumento per poter fare i pagamenti internazionali. Se l’Italia aveva un disavanzo della parte corrente della bilancia dei pagamenti con l’Inghilterra, l’oro veniva caricato in una nave e spedito in Inghilterra (semplifico al massimo, naturalmente). L’arrivo di quest’oro avrebbe consentito all’Inghilterra di aumentare l’offerta di moneta, poiché avevano più oro per supportare la sterlina. Per l’Italia, la fuoriuscita di oro avrebbe avuto un effetto deflazionistico, cioè avrebbe diminuito l’offerta di moneta. La disoccupazione sarebbe salita e i prezzi delle merci e dei salari sarebbero scesi, e automaticamente ci sarebbe stato un riequilibrio. Oppure la lira avrebbe dovuto svalutare.
Nel 1944 a Bretton Woods il sistema fu reintrodotto con una piccola, si fa per dire, variante: solo il dollaro era convertibile in oro (44 dollari per un’oncia d’oro). Il 15 agosto 1971, Nixon affossò definitivamente il sistema dichiarando unilateralmente che gli Stati Uniti non avrebbero più convertito il dollaro in oro.
In questo sistema, l’idea che uno Stato potesse fare una politica monetaria espansiva come quella che fanno oggi gli Stati Uniti (quantitative easing) per stimolare l’economia non sarebbe stata possibile. Un governo avrebbe potuto estendere la sua offerta di moneta solo se avesse avuto un forte surplus della bilancia dei pagamenti. Con questo sistema, non c’è dubbio che i governi avevano dei limiti invalicabili per fare politiche monetarie espansive. La politica monetaria non poteva essere usata come strumento per far crescere l’occupazione, ma solo come strumento di stabilizzazione del cambio. La Banca Centrale di un paese non poteva espandere la base monetaria con un click di computer come può essere fatto oggi. L’offerta di moneta doveva per forza essere legata all’oro (o ai dollari che in quanto convertibili in oro erano l’equivalente) tenuto come riserva.
Per approfondire perché si è arrivati alla fiat money vi consiglio il libro La terza guerra mondiale? in ebook a solo 0.99€ . Dal 1971 viviamo tutti in regime di fiat money e la decisione di Nixon ha certamente accelerato l’idea di far nascere una moneta fiat, l’euro, anche in Europa (ventisette fiat money non sarebbero state né auspicabili né praticabili, perché sarebbero rimaste in balia del primo speculatore à la George Soros che fosse passato). Secondo la MMT, quindi, fino al 1971 gli Stati avevano limiti alla spesa pubblica poiché la creazione di moneta non poteva essere infinita, ma legata alle riserve in oro.
Oggi viviamo in un sistema totalmente diverso. Le monete, il dollaro, l’euro, ma anche le altre, non hanno nessun valore specifico. Il governo ha (per ora, almeno) il monopolio sulla stampa di moneta fiat e pertanto la spesa pubblica diventa indipendente dalle entrate fiscali. Se non ci fosse un pericolo di inflazione uno Stato potrebbe paradossalmente stampare tutta la moneta di cui ha bisogno e portare le tasse a zero. L’idea che un governo possa restare a corto di soldi non esiste. Quando si è parlato di recente di default americano si è usato un termine improprio. Gli Stati Uniti non potranno mai fare default.
Per capire la teoria, bisogna fare una semplificazione estrema che però non inficia l’argomento. Secondo la MMT, oggi, nella condizione attuale, bisogna dividere l’economia in due sfere separate, il settore governativo (government sector), che comprende sia il Tesoro che la Banca Centrale, e il non-government sector, che comprende i singoli individui, le imprese, le banche, gli esportatori e gli importatori.
Supponiamo uno Stato come quello americano (o come quello inglese o giapponese) che ha un suo Tesoro e una sua Banca Centrale (la situazione in Europa, come tutti sappiamo, è diversa). Supponiamo poi che il Tesoro abbia un unico conto corrente presso la Banca Centrale. Quando lo Stato deve fare un pagamento, diciamo il pagamento degli stipendi dei professori, stacca un assegno che viene pagato dalla Banca Centrale, anche se il conto dello Stato fosse a zero. Naturalmente la Banca Centrale ha a questo punto un credito nei confronti del Tesoro. In teoria, lo Stato non avrebbe limiti, poiché qualunque spesa faccia viene pagata dalla Banca Centrale, che non deve avere riserve di moneta poiché è essa stessa che la crea. Quando un professore versa il suo stipendio in banca, la banca avrà al suo attivo una somma equivalente allo stipendio e un debito, una passività verso il professore che ha versato l’assegno.
Naturalmente poi lo Stato incassa dai cittadini le tasse, che vanno a ridurre l’esposizione bancaria del Tesoro verso la Banca Centrale. Il pagamento di tasse significa anche che diminuisce l’attivo delle banche che pagano le tasse per conto dei cittadini.
Ogni anno il bilancio dello Stato può essere in deficit (lo Stato spende più di quanto tassa) oppure in surplus (lo Stato tassa più di quello che spende). Quando c’è un deficit, aumentano i net financial asset (da ora in poi “moneta”, per semplificare) poiché lo Stato ha depositato nei conti correnti delle banche più di quello che ha ritirato come tasse. Naturalmente, un surplus di bilancio significa il contrario, cioè che il governo ha preso dai conti corrente più di quello che ha ridato come spese in istruzione, sanità, difesa e così via. Fin qui non c’è nessuna novità. Si tratta di una semplice identità contabile e così viene riportata in tutti i manuali di macroeconomia.
Supponiamo, per portare avanti il discorso, che la spesa statale in un determinato anno sia superiore alle entrate fiscali. A questo punto il Tesoro ha un debito nei confronti della Banca Centrale. Il tasso di interesse applicato dalla Banca Centrale potrebbe essere zero poiché il costo del finanziamento per la Banca Centrale è zero. È lei che crea la moneta. La Banca Centrale potrebbe poi prestare alle banche a un tasso di interesse che potrebbe controllare attraverso vari strumenti. Naturalmente, in questo modello la Banca Centrale non potrebbe essere indipendente ma dovrebbe fornire tutti i fondi necessari al Tesoro.
Insomma, secondo i teorici della MMT l’idea à la Merkel che uno Stato si debba comportare come un buon padre di famiglia è una stronzata colossale. Uno Stato in qualche modo s’indebita solo su se stesso, o nei confronti di un’altra istituzione dello Stato. Una famiglia, invece, ahinoi!, non può stamparsi il proprio denaro, deve guadagnarselo.
Ma se il Tesoro potesse spendere ad libitum non ci sarebbe un rischio di iperinflazione? No, secondo i teorici della MMT, perché se l’offerta di moneta dovesse portare a pressioni inflazionistiche, il Tesoro avrebbe tutti gli strumenti – aumento delle imposte, vendita di bond sul mercato, innalzamento delle riserve obbligatorie delle banche – per ridurre la liquidità nel sistema. Un altro punto fondamentale della MMT è che la Banca Centrale non ha mai il controllo dell’offerta di moneta. Può aumentare di molto la base monetaria, ma se le banche si tengono i soldi che gli presta a tassi vicini allo zero la BCE, l’offerta di moneta non aumenta.
Secondo questa teoria il governo di uno Stato che è in grado di emettere monopolisticamente fiat money non è costretto a finanziarsi con le tasse. Prima emette la propria moneta e solo dopo la ritira tassandola o prendendo moneta a prestito. È chiaro che uno Stato che può emettere fiat money non potrà mai fallire. L’obiettivo principale in uno Stato dovrebbe a questo punto diventare la piena occupazione, l’unica vera ricchezza di un Paese.
Solo fantascienza economica? Mi sembra di no, perché anche se nessuno dei banchieri centrali si definisce un seguace della MMT, in America, almeno, sembra che il Tesoro e le Fed abbiano cominciato a operare come se seguissero le teorie della MMT, ponendo l’occupazione al primo posto come obiettivo di politica economica. La Banca Centrale americana, a partire dal 200,8 ha complessivamente comprato 3400 miliardi di bond, quasi due volte l’intero debito pubblico italiano, stampando come controparte moneta (tecnicamente aumentando la base monetaria). In questo modo ha schiacciato i tassi di interesse pagati sul debito pubblico americano a valori vicini allo zero. Insomma, si è trattato di un regalo che la Fed (ma anche la Banca Centrale del Giappone e la Banca Centrale inglese) ha fatto al suo Tesoro abbassando drasticamente il costo di finanziamento del debito pubblico. In Europa, solo la Germania ha potuto beneficiare di tassi bassissimi, non certo l’Italia, la Spagna o la Grecia.
Se l’Italia avesse potuto fare la stessa cosa, avremmo avuto un risparmio sugli interessi pagati sul debito di 400-500 miliardi negli ultimi 5-6 anni, che se fossero stati destinati tutti a ridurre il cuneo fiscale il nostro PIL non sarebbe certo diminuito del 10% a partire dal 2007.
Ora in America si discute se a un certo punto la Fed debba fare quello che in gergo tecnico è chiamato tapering, cioè l’abbassamento degli acquisti di bond da parte della Fed dal suo livello attuale, che è di 85 miliardi al mese. Tutto dipenderà dai prossimi dati sull’occupazione. Dai minutes dell’ultima riunione della Fed Open Market Committee – che in America, al contrario della BCE, sono pubblici – si deduce che si è discusso soprattutto di occupazione. Cioè se interrompere il quantitative easing quando la disoccupazione scenderà al 6,5% oppure se abbassare l’obiettivo del livello di disoccupazione al 5-5,5% prima di cominciare il tapering.
In conclusione, secondo i teorici della MMT tutti i discorsi che facciamo da anni sul livello troppo alto di debito pubblico e del deficit statale sono non-issues. Chiacchiere ideologiche per confondere i cittadini. All’inizio del Novecento, il deficit pubblico americano era del 10%. Era salito al 120% dopo la fine della seconda guerra mondiale e sceso nuovamente al 34% nel 1974, come ricorda Federico Rampini in un articolo su «Repubblica». Se uno mette in relazione debito pubblico e crescita o occupazione sembra non esserci nessun nesso.
Bisogna dire che è sorprendente come la MMT spieghi bene tutto quello che è successo negli ultimi vent’anni in Italia. Tutte le manovre economiche di austerity condotte a partire dagli anni Novanta, quando abbiamo deciso di voler entrare nell’euro, sono state manovre che hanno prodotto surplus primari nel deficit pubblico e quindi hanno sottratto liquidità al settore non-pubblico. Tutte le manovre di austerity per restare nell’euro ora producono lo stesso effetto. Tutti i dati indicano che questa è stata la direzione. Tra il 2000 e il 2013 il PIL dell’Unione Europea è cresciuto di circa il 16%. Quello italiano di circa il 2%. A questo punto per l’Italia non ci sono più molte scelte: o riusciamo a influenzare le politiche europee, soprattutto quelle monetarie, oppure siamo condannati a una lenta agonia.
Paolo Barnard collega la MMT con il fatto che, poiché oggi noi non possiamo più stampare moneta (solo la BCE può farlo), se noi volessimo adottare politiche monetarie espansive come quelle suggerite dalla MMT ci converrebbe uscire dall’euro e tornare alla lira.
In sintesi, per quanto riguarda l’euro, la via auspicata dal manifesto è la seguente: l’Italia annuncia unilateralmente che non rispetterà più i trattati europei sinora firmati e procede a un ritorno alla lira per quanto riguarda il pagamento delle tasse e i pagamenti interni, ma i depositi bancari e i prestiti in euro potrebbero rimanere in euro (le banche convertirebbero i depositi da euro in lire solo su richiesta dei depositanti). La Banca d’Italia concederebbe prestiti a zero interessi allo Stato. Il debito dello Stato in euro verrebbe onorato nei tempi decisi dall’Italia. L’economia sarebbe rifondata sul principio dell’esclusivo Interesse Pubblico, che mira essenzialmente alla creazione di una piena occupazione per tutti.
Premetto che:
1) condivido l’epigrafe messa ad apertura del documento, una citazione da Paul Krugman: «Adottando l’euro, l’Italia si è ridotta allo stato di una nazione del terzo mondo che deve prendere in prestito una moneta straniera, con tutti i danni che ciò implica». È una giusta conclusione nota agli esperti da anni.
2) Sono d’accordo che, se avessimo ancora la lira, non ci sarebbe nessun pericolo di default. La Banca d’Italia potrebbe, con un semplice click di computer, stampare moneta, e il problema non si porrebbe.
3) Anch’io credo che se l’Italia avesse potuto fare ricorso alla svalutazione competitiva, oggi le condizioni economiche sarebbero probabilmente migliori.
Detto questo, devo dire che mi sembra una forzatura credere che l’area dell’Eurozona sia il risultato di un disegno germanocentrico per rafforzarsi a spese dei paesi più deboli come Spagna e Italia. Certo, oggi siamo oggettivamente in una situazione in cui l’unico paese a essere favorito dallo status quo è la Germania, che ha tassi vicino allo zero sul suo debito (senza neanche aver dovuto fare politiche di quantitative easing) e un tasso di cambio dell’euro sottovalutato per la sua economia (se non fosse nell’euro il marco oggi varrebbe come minimo 2 dollari). E raddrizzare la situazione non è facile se i tedeschi s’incarogniscono a portare avanti le loro politiche di egoismo economico e trascurano di curarsi dei problemi dei paesi più svantaggiati. Non credo a nessun complotto perché al tempo il progetto dell’euro fu duramente ostacolato dalla Bundesbank e andò avanti solo per la volontà politica di Helmut Kohl, che non era cosciente di come si sarebbe evoluto e che non poteva certo prevedere la crisi del 2008.
Non condivido neanche le tesi contenute nello studio della Fed del 2002 “L’euro: non è possibile, è una pessima idea, non durerà” citato nel manifesto. È vero che l’euro è un esperimento mai fatto prima nella storia, cioè una moneta senza dietro uno Stato, ma chi ha seguito la gestazione dell’euro dall’inizio ha sempre avuto ben chiaro che la maggior parte delle istituzioni e degli economisti americani ha sempre cercato di delegittimare teoricamente la costruzione dell’euro.
Riporto un passo delle memorie di Guido Carli, il ministro del Tesoro italiano che mise la sua firma sul trattato di Maastricht:
Già durante il mio primo viaggio negli Stati Uniti, al seguito del presidente De Gasperi, ebbi modo di constatare insieme a Menichella che settori influenti della comunità finanziaria erano acremente ostili ai vincoli alla sovranità monetaria degli Stati Uniti che derivavano dagli statuti di Bretton Woods. […] Venti anni più tardi quella stessa comunità finanziaria salutò con gioia lo sganciamento del dollaro dall’obbligo di convertibilità in oro, come una riconquistata libertà di emettere dollari senza contropartita alcuna. La natura di valuta di riserva internazionale del dollaro è sopravvissuta a quegli istituti che le attribuivano la dignità di uno strumento in qualche modo sottoposto a un controllo esterno, neutrale, rappresentato appunto dall’oro. Caduto quel vincolo, il potere del dollaro si è manifestato nella sua natura puramente egemonica. Gli Stati Uniti hanno esercitato lungamente un diritto di “signoraggio” monetario verso il resto del mondo. […] Dico questo perché deve essere presente alla coscienza degli europei che cosa il Trattato di Maastricht rappresenta veramente. Io non vedo in Europa tracce di questa coscienza. La vedo invece negli Stati Uniti, dove infatti, come un sol uomo, gli economisti sono scesi in campo per difendere gli interessi della comunità finanziaria americana nel tentativo di delegittimare il progetto di Unione Europea dal punto di vista teorico.
Ma soprattutto non sono assolutamente d’accordo con la tesi principale del manifesto, e che cioè all’Italia converrebbe tornare al più presto alla lira. In Italia, nel mondo accademico, questa tesi è portata avanti da Alberto Bagnai, che dall’alto della cattedra dove insegna (Oxford? Harvard? No, Chieti!) sta cercando, con l’aiuto del «Fatto Quotidiano», di farsi un po’ notare dopo aver scritto per un editore sconosciuto un librone di oltre trecento pagine (ne bastavano trenta) per portare avanti la tesi che l’Euro penalizza la nostra bilancia dei pagamenti. L’allievo più promettente di Bagnai è diventato l’ex picchiatore Gianni Alemanno, che forse spera con l’aiuto ideologico del professore di ripetere l’exploit dei neofascisti francesi di Le Pen.
Non solo non ci vedo grandi vantaggi (l’idea che un paese possa stimolare l’economia semplicemente lasciando l’euro e tornando alla liretta non ha nessun fondamento, secondo me), ma credo che l’uscita unilaterale sia tecnicamente impossibile per tutta una serie di motivi. Vediamoli uno per uno.
Intanto non è previsto dai Trattati Europei che un Paese possa uscire dall’Euro. Semplicemente, il Trattato di Maastricht non prevede una clausola di uscita (opt out clause). I motivi per cui non fu prevista questa causa sono noti e non è il caso di ripeterli qui. Se qualche lettore volesse approfondire l’argomento suggerisco il documento segnalato da un lettore
Il trattato di Lisbona si pose il problema se l’assenza di una clausola di uscita non fosse una condizione troppo restrittiva. La conclusione a cui arrivarono i capi di Stato fu la seguente: l’adozione dell’euro è irrevocabile. Se si vuole uscire dall’euro bisogna uscire anche dall’Unione Europea. L’articolo 50 del trattato fa riferimento a un’opzione di ritiro (withdrawal option) dalla UE e fornisce anche scarne linee guida su come uscire. Dice soltanto che uno Stato membro deve negoziare con l’UE la sua uscita.
Insomma se l’Italia volesse uscire dall’Unione Europea senza rompere i trattati in essere, l’unico modo per farlo sarebbe quello di aprire un lungo negoziato con l’intera UE. Detto questo, però, non si può escludere che un giorno vinca le elezioni, con l’aiuto intellettuale di Bagnai, Gianni Alemanno. In quest’ultimo caso, trattato o non trattato, un paese con premier Alemanno e ministro del Tesoro Bagnai decide di non accettare più le regole del gioco e va per conto suo.
Cosa succederebbe in questo caso?
La prima questione che uno si deve porre è quella relativa al debito pubblico denominato in euro, moneta in cui il paese che esce non ha diritto di tassazione. Il manifesto propone di ritenere il debito in euro. Ma come facciamo a ripagarlo? Non ci sono molte scelte: bisognerebbe ripagare gli interessi e il capitale con la valuta guadagnata con le esportazioni. L’alternativa potrebbe essere quella di fare una conversione forzata del debito dall’euro alla lira (per molti investitori, sia italiani che stranieri, sarebbe però l’equivalente di un default poiché la lira si svaluterebbe di un ammontare che non credo sia il 10 o 15%, ma una percentuale più vicina al 50%). Per le imprese italiane che hanno bisogno di finanziarsi sui mercati internazionali sarebbe un disastro. Infatti il rating delle imprese difficilmente potrebbe essere superiore a quello dello Stato. E le imprese che hanno già debiti in euro farebbero molta fatica a rimborsarli in valuta.
Il secondo grande problema è la conversione (che dovrebbe per forza di cose essere obbligatoria) dei conti correnti dei cittadini italiani dall’euro alla lira. Ma chi vorrebbe mai ritenere i suoi euro in banca se si cominciasse a parlare di uscita dall’euro? Tutti, io per primo, trasferiremmo i nostri risparmi in Francia o Germania, fino a quando questo restasse possibile. Naturalmente, il governo potrebbe imporre da un giorno all’altro stringenti controlli sui movimenti di capitale (che sarebbe di per sé una rottura dei trattati vigenti). In questo caso, chi non fosse già riuscito a spostare i propri risparmi potrebbe optare per la classica soluzione della valigetta. Si recherebbe in banca, ritirerebbe i soldi in banconote da 500 euro, li metterebbe in una valigetta e li porterebbe da qualche parte fuori dall’Italia. Naturalmente, un governo autoritario a guida Alemanno-Bagnai potrebbe addirittura cercare di chiudere le frontiere e le banche.
Naturalmente, una volta compiuto, in un modo o nell’altro, il coup di tornare forzosamente alla lira, si porrebbe il problema di come restare nell’Unione Europea. Uscendo dall’euro, l’Italia commetterebbe una violazione unilaterale del trattato di Maastricht e del trattato di Lisbona. Naturalmente, si potrebbe pensare di uscire dall’euro e rinegoziare l’adesione alla UE. Ma chi vorrebbe negoziare con un governo che ha deciso, in barba a tutti i trattati, di uscire dall’euro?
Bene, nonostante tutti i pericoli a cui abbiamo accennato, l’Italia potrebbe però finalmente stampare moneta a go go e riguadagnare la competitività perduta. Ma siamo sicuri che ci guadagneremmo? Uscendo dalla UE, l’Italia dovrebbe rinegoziare tutti i suoi trattati commerciali con la UE. Supponiamo che la lira si svaluti del 50%. A quel punto chi può impedire che l’Eurozona imponga un dazio del 50% annullando tutti i vantaggi della svalutazione?
Ma il pericolo maggiore non è solo economico. Quasi sicuramente una gran parte dei cittadini, o addirittura alcune intere regioni, potrebbero non essere d’accordo con una decisione presa dal governo Alemanno-Bagnai, che, anche avesse la maggioranza nel Parlamento, incontrerebbe la strenua difesa di tutti i cittadini che sono contrari a questa mossa da cui si sentono particolarmente danneggiati. Non si può escludere il rischio di una vera e propria guerra civile.
Secondo me non c’è altra soluzione che andare avanti con l’Europa e puntare a un’unione politica con una gestione più democratica del potere europeo (oggi il Bundestag prende decisioni che hanno un peso anche sull’Italia, mentre il Parlamento italiano non può certo prendere decisioni che hanno un impatto sulla Germania) e alla nascita di un Tesoro europeo la cui guida sia politicamente contendibile (e dove, se i cittadini votassero in maggioranza per un partito politico che sostiene le Modern Monetary Theory, questa verrebbe applicata a livello europeo). Poiché quest’ultima mi sembra per il momento un’ipotesi remota, bisognerebbe procedere a una soluzione che possa essere attuata in tempi più brevi, e cioè una monetizzazione parziale dei debiti pubblici.
Concludo la questione dell’uscita dall’euro con una citazione dell’economista di Harvard Martin Feldstein, che nel 1997 ha scritto: «Le politiche monetarie uniformi e i tassi di cambio non flessibili creeranno conflitti tutte le volte che le condizioni cicliche differiranno tra i paesi membri… Anche se uno stato sovrano può in linea di principio ritirarsi dall’Unione Monetaria, le potenziali sanzioni commerciali e altre pressioni su tale paese sono tali da rendere l’appartenenza all’Unione Monetaria irreversibile a meno che non ci sia uno sconvolgimento economico molto esteso in Europa o, più in generale, un collasso della coesistenza pacifica all’interno dell’Europa».
Elido Fazi