Come ogni estate ho fatto il mio sempre più spicciativo pellegrinaggio a qualche festa locale del PD e come ogni estate da decenni ormai ho provato un grande sconforto. Ora neanche più capaci di darsi un nome politico ma mascherate dietro formule da divertimentificio, le tristi eredi delle Feste dell’Unità sono ormai diventate solo un appuntamento per gli addetti ai lavori che nel loro generoso impegno si auto-inducono la motivazione posticcia del ritrovarsi a lavorare per qualcosa senza sapere bene cosa, se non la magra soddisfazione di essere riusciti ancora una volta a mettere insieme i soldi per le attività di volontariato o per una qualche Onlus che finanzia opere di beneficenza in Africa.
Tutte nobili cause per carità, come anche il finanziamento di un partito che non può contare su grandi finanziatori. Ma inconsistenti e alla fine inutili, se non si tiene viva nel contempo anche una visione politica, una discussione autentica su un progetto di società. Alle feste del PD si fa tutto fuorché parlare di politica, incontrare la gente, discutere delle grandi questioni della modernità. Perfino nelle antiche Feste dell’Unità degli anni Settanta, dove si mangiava male e si beveva peggio, c’era qualche coraggiosa sezione che organizzava un dibattito politico, la presentazione di un libro, una conferenza di qualche redattore di Rinascita. Ci andava poca gente, è vero, e lì non si guadagnavano soldi. Ma così si teneva viva una conversazione, una discussione con la società, con gli iscritti o anche solo con chi passava di là e si incuriosiva a sentire parlare di cose forse lontane dalla quotidianità ma importanti per farsi un’idea del mondo, quello in cui si viveva e quello in cui si sarebbe voluto vivere. Era forse ridicolo che le giunte comunali della più sperduta provincia in quegli anni discutessero come primi punti all’ordine del giorno la situazione in Vietnam o in Medio Oriente. La risoluzione votata all’unanimità che condannava gli USA e Israele non avrebbe certo alleviato le sofferenze di vietnamiti e palestinesi. Ma permetteva una discussione, uno scambio che creava consapevolezza, che addestrava all’analisi, che spingeva i partecipanti a informarsi, a leggere, a seguire il filo delle grandi questioni dell’attualità fino alle implicazioni che inesorabilmente avevano sulla nostra realtà.
L’anno scorso alla Festa del PD di Reggio Emilia, con il compatriota Francesco Ronchi e il collega scrittore Marcello Fois, ho partecipato a un dibattito su Europa e emigrazione. Ad assistere c’erano in tutto quattro persone: una coppia che era entrata nel padiglione per proteggersi dalla pioggia e due neo-leghisti venuti per provocare. Gli altri, i “compagni”, erano tutti alla tombola. La tombola sembra essere diventata la vera ragion d’essere delle Feste del PD. Più che a una festa paesana sembra d’essere in borsa e guai a chi chiacchiera fra le file dei tavoli di gente serissima che scruta accigliata il tabellone porgendo attenta l’orecchio alla voce grave dell’estrattore. Sembra che con il salame della cinquina si passerà l’inverno e che il frullatore della tombola salverà una famiglia dalla fame.
La filosofia dei dirigenti di partito è da lungo tempo sempre la stessa: dare alla gente quel che vuole. I cappelletti cotti bene, l’anguilla che non sa di canale, il vino frizzante bello fresco, qualche mazurka facile, ecco quel che basta al buon elettore PD per votare bene anche l’anno prossimo e per tirare fuori dalla tasca qualche soldo. Così, di generazione in generazione, si è ridotto il discorso politico a un buono pasto e si è gettata all’aria un’occasione di incontro e di confronto disperdendo una comunità di persone che in modo forse destrutturato e informale comunque manteneva vivo un lavorìo di pensiero.
In questo mondo esploso dei social media, dove ognuno è solo davanti a uno schermo, c’è un gran bisogno di incontrarsi, di riapprendere a parlare e ad ascoltare. Se oggi tante persone sono esasperate da rabbia e paura, se sono facili prede di false verità e di propaganda cui un tempo non avrebbero prestato ascolto, è anche perché hanno perso l’abitudine al confronto con l’altro, al ragionamento, all’ascolto e al rispetto delle opinioni altrui. Non c’è argomento complesso che una persona qualunque non possa affrontare e su cui non possa avere un’opinione se le viene permesso di acquisire gli strumenti per decifrarla e l’occasione per esprimersi. Questo è il fermento di cui ha bisogno non solo il mondo del PD ma tutta la società italiana. Anche i due leghisti venuti a boicottare il nostro dibattito su Europa e migrazione avevano qualcosa da dire sepolto sotto le tonnellate di risentimento e di incomprensione accumulati in anni di Tombolone.