Bruxelles – Tanti condizionali, poche proposte concrete, nessun vero passo avanti. Il lavoro della Commissione europea per cercare di trovare una soluzione alla questione migratoria presenta più punti punti di domanda che risposte alle questioni che, a dire il vero anche per prender tempo di fonte ad un problema molto ingarbugliato, i leader degli Stati membri avevano delegato all’esecutivo europeo.
La Commissione europea farà da garante. Metterà i soldi per aiutare gli Stati nella gestione dei migranti e aiuterà i Paesi a cooperare, ma la proposta dell’esecutivo comunitario presentata oggi non va oltre questo. L’esecutivo comunitario punta su due ‘concetti’ – così li definisce la stessa istituzione Ue, che infatti lascia tutto molto alla teoria e alla prova dei fatti. E soprattutto alla capacità delle capitali di trovare intese politiche.
“Siamo pronti a sostenere gli Stati membri e i Paesi terzi a cooperare meglio allo sbarco dei soccorsi in mare”, sottolinea il commissario per l’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos. L’Ue dunque si offre come cabina di regia. Quello che viene messo sul tavolo può funzionare se si trovano accordi, che a oggi non ci sono, tra i partner europei e che gli stessi, divisi tra loro, dovranno trovare con gli Stati extra-Ue. Logico, quindi, che non si vada oltre un approccio poco operativo ed esclusivamente concettuale, presentato non a caso nella forma di documenti informali (non-paper).
Le due idee della Commissione
I Centri controllati (questo il nome trovato) nel territorio comunitario sono la prima di queste idee. Si tratta, secondo le intenzioni, di strutture per identificare, “entro quattro – otto settimane”, chi può avere protezione e chi no. Il centro controllato sarà gestito dal Paese membro che decide spontaneamente di aprirlo sul proprio territorio, “col pieno sostegno dell’Ue e della sue agenzie”, mentre i costi di gestione saranno a carico del bilancio dell’Ue, che garantirà il sostegno finanziario agli Stati membri che accettano trasferimenti di quelli sbarcati (6.000 euro a persona). Questi centri, secondo i ragionamenti in corso a Bruxelles, dovrebbero avere natura “temporanea”. Sono essenzialmente concepiti per evitare i movimenti secondari, vale a dire lo spostamento tra Stati membri dell’Ue. Quello che chiedono Paesi quali Francia e Austria. In cosa si differenziano dai più noti “hotspot”? In niente, spiegano alla Commissione, tranne nel fatto che i Centri controllati “non saranno nei Paesi di primo arrivo”.
L’altra idea della Commissione è quella di ‘accordi per sbarchi regionali’. Si tratta di un quadro normativo condiviso tutto da trovare. “Tutti gli stati costieri del Mediterraneo dovrebbero essere incoraggiati a istituire zone di ricerca e soccorso e centri di coordinamento del salvataggio marittimo”, secondo il concetto elaborato dal team Juncker, che intende riprendere e ampliare la strategia esterna per l’immigrazione lanciata due anni fa. “Non è un qualcosa di cui iniziamo a parlare oggi”, sottolineano a Bruxelles. “Tutto è iniziato due anni fa, con i partenariati avviati con i Paesi africani”, in particolare quelli con Niger, Nigeria, Senegal, Mali ed Eritrea. Si tratta di potenziare quelli esistenti, ed estenderli ad altri Paesi. Le regole dovranno definire le procedure di sbarco e la gestione dei migranti, che non finiranno in campi. “Nessuna detenzione, nessun campo” è l’imperativo di Bruxelles.
Criticità
Non è chiaro dove verranno realizzati i Centri controllati dell’Ue. Il tema del resto è quello che ha sempre diviso i governi del Ventotto. Tutti vorrebbero che i migranti in arrivo via mare si fermassero in Grecia e Italia, Paesi verso cui la solidarietà degli altri Stati ha funzionato molto poco e molto male. E’ chiaro sin dall’inizio che non ci si vuol far carico dei richiedenti asilo, e non è per nulla possibile immaginare quali e quanti governi vorranno accettare di prendere da Italia e Grecia persone sbarcate sulle loro coste. La Commissione specifica che “per testare il concetto, una fase pilota che applica un approccio flessibile potrebbe essere avviata il prima possibile”. Parole che danno il senso della difficoltà di un concetto che appare complicato tradurre in pratica.
Le piattaforme regionali, così come le presenta la Commissione, risultano tanto vaghe quanto incerte. Si tratta di dover stringere accordi con tutti i Paesi del bacino del Mediterraneo, a cui si offrono soldi (“l‘Ue è pronta a fornire sostegno finanziario e operativo per le attività di sbarco e di post-sbarco”). Non è chiaro se i governi di Paesi quali Algeria, Tunisia, Egitto, Libia, Marocco potranno essere d’accordo, fermo restando che attualmente il biglietto da visita dell’Europa è un ammanco di 1,2 miliardi di euro nel fondo fiduciario per l’Africa (soldi promessi ma ancora non versati). Non è chiaro poi cosa succede a chi viene fatto sbarcare nei Paesi terzi. Si chiarisce che chi ha diritto alla protezione può beneficiare dello schema di reinsediamento verso un altro Paese, ma non è precisato cosa succede agli altri. Si parla di rimpatri, che dipendono però dagli eventuali accordi bilaterali tra Paesi. Ma ci vorrà tempo: “Per ora stiamo parlando fra di noi – spiega un alto funzionario della Commissione – per chiarirci, prima di parlare con i Paesi terzi”.
Il dibattito politico inizia domani
La vera criticà è in realtà la prova dei fatti. Adesso queste idee appena abbozzate dovranno essere rese operative attraverso le discussioni che vedranno impegnati i Ventotto tra loro e con i Paesi terzi. I concetti messi a punto finiranno domani all’attenzione degli ambasciatori degli Stati membri. La prossima settimana a Ginevra l’Ue si riunirà con l’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu (Unhcr) e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) per discutere come rendere operativo il tutto. Le due organizzazioni, secondo le idee della Commissione, dovranno giocare un ruolo fondamentale nella dimensione esterna della strategia europea. Nell’ottica degli accordi regionali, “contribuiranno a garantire che coloro che sono sbarcati possano ricevere protezione se ne hanno bisogno, anche attraverso programmi di reinsediamento; o saranno restituiti al loro paese di origine, se non lo sono, anche attraverso i programmi di rimpatrio volontario assistito e di reintegrazione gestiti dall’Oim”.
Nessuna proposta concreta per Stati che non vogliono agire
La natura ambigua idee della Commissione Juncker è la sintesi e la rappresentazione delle divisioni tra i Paesi membri sulla questione migratoria. E’ stato il vertice dei capi di Stato e di governo di fine giugno a prevedere strategia regionali extra-Ue quale strumento di contrasto ai flussi. La decisione appariva non chiara allora, e lo resta oggi. La natura volontaria di tutto questo pastrocchio a dodici stelle è il riflesso della volontà delle capitali di non avere obblighi. L’esecutivo comunitario si adegua agli Stati, e procede con cautela per non correre il rischio di scontentarli.
Il risultato è un quadro tutto teorico e oltretutto confuso, che per sperare di poter diventare operativo richiederà uno sforzo politico con i Paesi terzi. Si tratterà di convincere gli Stati extra-europei a tenersi gli immigrati extra-comunitari che non vogliono gli europei. I concetti della Commissione sul dossier immigrazione non sono che questo, l’ammissione dell’incapacità europea di risolvere il problema per mancanza di volontà e per l’indisponibilità all’accoglienza, espressione a loro volta degli egoismi nazionali.