Di Matteo Scotto per Affarinternazionali.it
La natura dell’ Unione europea di oggi ci pone di fronte a una verità fondamentale che è inutile fare finta di non vedere o, peggio ancora, tentare di distorcere con falsa coscienza: la centralità esclusiva degli Stati nazionali negli equilibri decisionali dell’ Unione. Ci troviamo in una fase di pieno consolidamento di un’ Unione intergovernativa, dove il potere politico a livello europeo è concentrato unicamente negli esecutivi nazionali e nell’interazione tra essi. Ne sono un chiaro segnale non già il potenziamento degli incontri al vertice del Consiglio europeo, sempre più frequenti e meglio preparati, bensì le numerose riunioni collaterali tra gruppi ristretti di capi di Stato, come il pre-summit in materia di migrazione di domenica 24 giugno a Bruxelles.
Il ritorno ai rapporti bilaterali
Non è un caso che da qualche tempo a questa parte si stia investendo di nuovo molto, in Europa, nei rapporti bilaterali, a scapito di meno efficaci strategie multilaterali. D’altra parte, è stata la stessa cancelliera Angela Merkel ad affermare che non vi potrà essere alcun compromesso nel Vertice europeo di oggi e domani, 28-29 giugno: come dichiarato dai portavoce del governo di Berlino, l’obiettivo del Consiglio europeo non sarà il raggiungimento di dichiarazioni condivise da tutti, bensì l’adesione ad accordi bilaterali, trilaterali o multilaterali.
Sarebbe utile, anziché negare il fatto, cercare di capirlo e prenderne piena coscienza, adeguandosi alla realtà e occupandosi di soluzioni concrete. Poiché l’attuale assetto istituzionale dell’Ue non è nient’altro che l’unico assetto possibile alla luce del vuoto lasciato dall’ Unione stessa, dove prendono piede i soli attori in campo legittimati a deliberare su questioni di vitale importanza, giustappunto i governi nazionali.
Gli scogli di difesa, sicurezza, migrazione
Abbiamo passato anni a raccontare come gli Stati potessero essere cancellati con un colpo di spugna, diventando, per mezzo di un’integrazione normativa e programmatica, semplici “membri” di un progetto apolitico esteso su scala continentale. L’ultima e vana speranza è stata quella di pensare di armonizzare competenze strategiche al cuore della vita di uno Stato — difesa, sicurezza, migrazione — al pari del mercato unico, come se regolamentare banane e vite umane fosse la stessa cosa.
È andata diversamente con la politica monetaria — completata comunque solo per metà — grazie a una contingenza storica e di leadership politica favorevole, di cui oggi non resta che un lontano ricordo e che difficilmente si ripeterà.
Abbiamo così creduto che un unico centro di gravità economica e burocratica come Bruxelles potesse occuparsi di qualunque cosa al di là della politica, coordinando o offrendo soluzione adattabili alla moltitudine di interessi nazionali presenti nell’Ue, senza tuttavia un vero governo in grado di rappresentare e sintetizzare tali interessi.
Errori e conseguenze
Sono stati annessi nell’ Unione blocchi di Stati con la pretesa che storia e geografia fossero componenti malleabili e facilmente convertibili a un disegno europeo definito, preconfezionato da quella che è ormai una minoranza di Paesi fondatori. Anche in questo caso subordinando la politica a tutto il resto, con l’aspettativa che i governanti dei nuovi Stati membri non fossero che meri amministratori d’intesa con la burocrazia centrale.
Vano e a tratti pernicioso è stato in ultimo il tentativo di frammentare in Europa il sistema politico in uno schema multilivello di poteri confuso e sovrapposto, con il risultato di una mancanza assoluta di chiarezza tra governanti e governati, incapace di attribuire la responsabilità decisionale ad alcun organo di governo. Ne consegue che, ad ogni mancata risposta politica, venga additata dai cittadini europei una volta la Germania, una volta l’Ungheria, una volta la Francia, una volta Bruxelles, una volta la Commissione, senza comprendere fino in fondo né l’oggetto né il soggetto del contendere.
Dal disordine e dall’enefficienza il populismo
Il risultato di tale disordine istituzionale è proprio il cosiddetto populismo tanto demonizzato dai partiti tradizionali, che fiorisce dove l’efficacia politica e l’evidenza delle istituzioni sfioriscono. Un populismo che mira alla nazionalizzazione e alla sovranità statale proprio di quelle politiche che si è tentato grossolanamente di europeizzare senza un legittimo e preciso riscontro democratico e di governo. Una mancanza di lungimiranza che avalla di fronte ai cittadini l’appello all’interesse nazionale dei leader di oggi, con un costante richiamo alla volontà dell’opinione pubblica nazionale nelle decisioni prese a Bruxelles.
Di un senso comunitario nell’ Unione, forte di un destino e di interessi comuni, non v’è traccia. Ciò che rimane sono solo forze centrifughe che tendono sempre più a mettere in competizione e in contrasto gli Stati membri tra di loro. Se da un lato l’ Unione intergovernativa è quindi l’unica strada percorribile, la stessa strada comporta allo stesso tempo pulsioni disintegranti pericolose per l’unità europea.
Ora che la storia è andata come al solito nella direzione opposta di quello che ci siamo immaginati, in Europa sarebbe il caso di fermarsi e decidere quali sono le basi istituzionali e valoriali sulle quali proseguire sulla via dell’integrazione. Senza un consenso forte in tal senso e un’attenta valutazione dei rischi, come gli alpinisti insegnano, non è detto che non sia saggio ripercorrere il sentiero di ritorno, prima che sia troppo tardi.