Bruxelles – Il Ppe si spacca sull’Ungheria. Nel giorno in cui la commissione Libertà civili si esprime per attivare le procedure che possono portare fino alla sospensione dei diritto di voto in Consiglio, il gruppo del Partito popolare europeo vota per metà contro il governo di Viktor Orban, il cui partito, Fidesz, fa parte della stessa famiglia popolare europea. La censura dell’operato dell’esecutivo di Budapest arriva da tutte le forze politiche: socialdemocratici (S&D), liberali (Alde), Verdi, Sinistra unitaria (Gue), persino dagli euro-critici dell’Efdd col voto di Marco Zullo (M5S) e, soprattutto, otto europarlamentari su diciannove del Ppe.
La commissione Libertà civili decide di procedere contro lo Stato membro dell’Est per le politiche ritenute lesive dello Stato di diritto. Si contestano la stretta sulla stampa, l’eccesso di controllo sulla magistratura, misure contro gli immigrati. Si chiede alla Commissione di “monitorare attentamente l’utilizzo dei fondi Ue da parte del governo ungherese”, in particolare in materia di asilo e migrazione, comunicazione pubblica, istruzione, inclusione sociale e sviluppo economico, così da garantire che qualsiasi progetto cofinanziato sia “pienamente in linea con il diritto primario e secondario dell’Ue”. Non solo. La Commissione parlamentare ritiene che l’attuale situazione in Ungheria rappresenti “un evidente rischio di violazione grave” dei valori fondamentali dell’Ue, e che questo giustifichi il ricorso all’articolo 7 del trattato sul funzionamento dell’Ue, che prevede procedure e sanzioni che si spingono fino alla sospensione del diritto di voto in Consiglio.
La decisione di procedere contro l’Ungheria è arrivata con un voto che ha visto 37 eurodeputati favorevoli e 19 contrari. Nessuna astensione. Segno che tutti volevano esprimersi, con il Ppe che si spacca. Tra gli otto a votare contro Orban e il suo partito Axel Voss, esponente tedesco della Csu, partito alleato della Cdu di Angela Merkel fino a questa esperienza di governo, che però i bavaresi rischiano di far terminare per le divergenze in chiave migratoria. E poi le polacche Roberta Metsola e Julia Pitera, con il ceco Jaromir Stetina, a segnalare che il gruppo di Visegrad alla fine tutta questa grande unità e coesione potrebbe non averla. E’ vero che in Polonia e in Repubblica ceca ci sono governi i cui partiti non si accasano nel Ppe, ma critiche alle politiche ritenute liberticide piovono anche dal blocco dei quattro Paesi dell’Est.
In totale gli otto esponenti del Ppe che hanno deciso di schierarsi contro il loro alleato, rappresentano sette diverse nazioni europee (Germania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca). Un dato utile a mostrare i malumori diffusi all’interno della formazione politico-partitica più numerosa.
Non è dato sapere come si esprimerà l’Aula, chiamata al voto a settembre su un tema che sta diventando sempre più delicato. Servirà la maggioranza assoluta dei voti (376 ‘sì’) o i due terzi dei voti espressi per poter far passare il testo e farlo approdare in Consiglio. Potrebbe dunque anche non arrivarci, ma nel frattempo il Ppe ha smesso la difesa a spada tratta di Orban e mostrato le frattura interne su un partner ritenuto sempre più insostenibile.