Le elezioni presidenziali azere hanno fatto saltare il tappo delle polemiche, con opinioni diversissime tra gli osservatori internazionali e vicendevoli violente accuse di incompetenza
Il sistema europeo di osservazione delle elezioni sta entrando in crisi? Sembra di sì, con da una parte ad esempio Pino Arlacchi, eurodeputato del Pd, che accusa gli esperti dell’Osce di essere “pseudo esperti” prezzolati che pensano solo a difendere il loro posto di lavoro, mentre questi in sostanza accusano gli altri di non sapere cioè di cui parlano perché non sono esperti della materia.
La bolla è scoppiata con le ultime elezioni presidenziali in Azerbaijan, il 9 ottobre scorso. Ilham Aliyev ha vinto un terzo mandato consecutivo come presidente della Repubblica con un colossale 85 per cento dei voti. Non è stato il suo primo grande successo però: già nel 2003 Aliyev aveva ottenuto il 77 per cento dei voti, nel 2008 era andata ancora meglio: 89 per cento.
Ad osservare questo voto c’erano una cinquantina di organizzazioni internazionali. Per 49 di queste tutto è stato regolare, per una, la più grande, no, è stato un voto assolutamente non libero. In particolare due delegazioni parlamentari, quella del Parlamento europeo e l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, hanno ritenuto il voto “libero, equo e trasparente”. Il capo della delegazione di Strasburgo, Pino Arlacchi (Pd) e Robert Walter, membro della Camera dei Comuni britannica , hanno presentato le loro osservazioni positive sul voto in una conferenza stampa a Baku nell’ Hyatt Regency Hotel. “Non siamo venuti in Azerbaigian a dare lezioni o per misurare il tasso di sviluppo democratico del paese, ma per testimoniare piuttosto e favorire il processo di transizione verso la democrazia che il paese sta vivendo”. I due, come ricorda un report dell’European stability initiative (Esi), hanno anche elogiato il “modo professionale e pacifico” delle procedure elettorali, la “preparazione tecnica”, e un “dibattito elettorale più aperto”.
La crisi è scoppiata due ore dopo, quando Tana de Zulueta (ex parlamentare eletta nei dei Ds e poi nei Verdi in Italia) e ora capo missione dell’Osce, in una conferenza stampa nello stesso albergo ha sostenuto una tesi opposta. “Il processo ha fallito. Problemi significativi sono stati osservati in tutte le fasi della giornata elettorale”, ha affermato il report, aggiungendo che “un clima restrittivo per i media ha inficiato la campagna elettorale”, mentre “il conteggio dei voti è stato valutato in termini negativi”. Secondo lo staff di De Zulueta, che ha seguito tutto il periodo elettorale e presidiato circa 1.100 seggi su poco più di 5.000, (mentre gli altri osservatori, di norma arrivano due giorni prima e partono il giorno dopo e sono gruppi di poche unità) queste elezioni “hanno rivelato che gravi carenze devono essere affrontate in modo che l’Azerbaigian possa soddisfare pienamente gli impegni assunti per vere elezioni democratiche”.
Due autorità di rilevo (anzi tre, comprendendo la Camera dei Comuni) che esprimono giudizi così opposti? Sì, ma si è andati anche oltre. Arlacchi qualche settimana dopo ha detto all’agenzia di stampa nazionale dell’Azerbaigian che la missione Osce “è composta da cosiddetti esperti, senza responsabilità politiche, che non sono stati eletti da nessuno. Così sono facili da manipolare”. Ma è andato anche oltre: “La nostra valutazione – ha detto – è stata fatta con senso di responsabilità, inoltre essendo parlamentari conosciamo molto bene le elezioni, molto meglio di esperti che vogliono solo essere sicuri di avere un nuovo lavoro alla prossima occasione”. Accuse pesantissime e violente ed anche in parte baste su analisi sorprendenti: essere parlamentari in un paese non vuol dire necessariamente conoscere il processo in altri, a meno che non li si abbia studiati.
Non sappiamo come si sono svolti i fatti, anche se un voto dell’85% è raro che sia davvero “trasparente”, ma è anche vero che alle volte le valutazioni politiche possono anche tralasciare qualche fatto dubbio per un più alto obiettivo. Ma certo una “transizione alla democrazia” che vede un presidente eletto tre volte prima con il 77% dei voti, poi con l’89% e poi con l’85% potrebbe voler dire due cose: o che Aliyev è un campione di costruzione della democrazia e del consenso da esportare nel Mondo, oppure, forse, questo processo non sta funzionando in tempi particolarmente rapidi. Volendo però pensar male in equo modo, è anche vero che gli esperti di monitoraggio elettorale (gente che passa la vita studiando queste cose, che non si improvvisa) se le elezioni fossero tutte come in Germania o in Gran Bretagna perderebbero il loro lavoro, come dice esplicitamente Arlacchi, e dunque indicare problemi è un modo di salvare il lavoro.
La questione che si apre, e che pone il rapporto dell’Esi è molto seria, perché si sostiene che “il futuro de monitoraggio elettorale dipende da come i decisori europei, dal Parlamento, al Consiglio d’ Europa , All’Assemblea parlamentare dell’Osce, ai governi europei, ora reagiranno”.
Secondo lo studio “è fondamentale rivisitare i fatti e le analisi che stanno dietro le diverse valutazioni, per capire come i diversi gruppi son potuti arrivare a conclusioni radicalmente divergenti. Il rapporto tra osservatori a lungo e a breve termine ha bisogno di essere ripensato. E’ anche importante chiedere cosa può rendere una missione di monitoraggio elettorale più vulnerabile ad essere manipolata dai governi”. Soprattutto, dice l’Esi “le squadre di osservatori che arrivano e giudicano senza una metodologia nota e chiara devono essere messi in discussione”.
“Chiaramente – scrive l’ Esi – qualcosa di straordinario è successo in queste elezioni in Azerbaigian. Allo stesso tempo, tuttavia , questa crisi non è venuta fuori dal nulla. Rivela più profondi problemi strutturali che, a meno che non vengano affrontati, mettono a rischio il futuro del monitoraggio elettorale come attività credibile effettuata da enti professionali”.
Ecco, la base su cui ragionale c’è. Si inizi a farlo.
Lorenzo Robustelli