Bruxelles – Non è una bella notizia la bocciatura dell’Ue alle ultime proposte britanniche per la gestione e la definizione delle Brexit. Non lo è perché entro fine mese si volevano progressi tali da permettere di avanzare sui dossier paralleli, quelli delle future relazioni tra Londra e gli altri (ancora per poco) partner. Non lo è perché “giugno doveva essere un momento per rafforzare la fiducia”, ha ricordato il negoziatore capo dell’Ue, Michel Barnier. La fiducia di chi deve gestire uno dei momenti più delicati della storia dell’Unione, e la fiducia di chi guarda cosa accade in questa Europa. Fiducia che i passi avanti e la svolta auspicati possano materializzarsi dunque non c’è.
Non è una buona notizia il fatto che i britannici non hanno convinto l’Ue. Innanzitutto per gli stessi britannici, che restano bloccati nel pantano da loro provocato. Ma non lo è neppure per l’Unione europea, che rischia di arrivare al vertice dei capi di Stato e di governo di fine mese con un altro fallimento annunciato.
La mancata svolta sulla Brexit si aggiunge al mancato accordo sulla riforma del regolamento di Dublino, il quadro normativo che disciplina il sistema comune di asilo. Addio britannico e immigrazione sono i due grandi temi dell’appuntamento del 28 e 29 giugno, e per ciascuno di essi è già chiaro che le aspettative alimentate verranno disattese. Resta il dibattito sul bilancio pluriennale dell’Ue, dove però decisioni definitive non sono attese perché è ancora troppo per poterle pretendere. Ci potrà essere, sull’esercizio di bilancio 2021-2027, qualche accordi di principio nel senso di dove focalizzare le risorse, ma è difficile immaginare di avere tutte le cifre, che non ci saranno.
L’Ue rischia quindi una di offrire un vertice dal sapore di ennesima occasione persa. Per molti l’appuntamento di fine mese era considerato un momento della verità, e la verità è che questa Unione europea non è in grado di prendere le decisioni che servirebbero laddove sarebbe necessario.
La Commissione europea ha provato e sta provando a fare la propria parte, nei limiti delle proprie attribuzioni e dei propri poteri decisionali. Sul bilancio il team Juncker sta lavorando con grande impegno, e questo è innegabile. Le proposte non mancano, ma sono legate a decisioni e voti che possono fare e disfare tutto in qualunque momento, e dunque hanno una valenza tutta da verificare.
Sull’immigrazione l’esecutivo comunitario si è incaponito nel proporre un sistema automatico di ripartizione dei migranti che fin dall’inizio era stato avversato, soprattutto a est. Un siffatto principio era difficile da proporre all’Europa della Nazioni, e lo è ancora meno nell’Europa dei nazionalismi. La Commissione non ha modificato di molto la linea, e il tavolo è saltato. Un intestardirsi dettato dalla necessità di provare a rianimare uno spirito comune, di stare insieme nel bene e nel male, che però non sembra essere avvertito nelle capitali.
L’Unione europea, nella sua incompletezza politica, non riesce a prendere decisioni politiche sui grandi temi che sono oggi, e lo saranno di qui in avanti, le sfide che mettono a rischio l’identità di un progetto che di comune sembra avere sempre meno. Ne è un’ulteriore dimostrazione la politica estera, ancora lasciata alle singole iniziative delle diverse capitali.
Anche qui il vertice del 28 e 29 giugno rischia di offrire lo spettacolo di tante voci confuse. Il nuovo governo italiano chiede la riabilitazione della Russia e del suo moderno zar Vladimir Putin, mettendo in discussione una difficile posizione a Ventotto tenuta sin qui, non senza tentennamenti. Per questo le parole di Michel Barnier sulle offerte negoziali di Londra non sono una buona notizia. Aggiungono a timori prossimi a certezze che il summit dei leader invece di offrire risposte aggiungerà altri interrogativi ai tanti già in agenda.