colonna sonora: Stan Getz-Autumn Leaves
Nel Fuckin’ Nordeuropa fa un freddo husky (“cane” era troppo generico) e, come dissero gli ebrei romani quando il loro Signore li sfamò miracolosamente nel deserto, piove che Dio la Manna. Il tasso di umidità è pari a quello dello stress da lavoro e da ritardo e da imprevisti e da accavallamenti di problemi da risolvere nel minor tempo possibile senza mai smettere di stare al telefono e inviare meils e correre per diminuire almeno il ritardo. La faccia scura, l’umore ancor di più e le palle in iper rotazione per aumentare la velocità, quando all’improvviso resto folgorato dalla melodia di un sax suonato nel corridoio della stazione della metro.
Mi blocco come il mostro di Frankenstein Junior col violino. Tutte le preoccupazioni vengono cancellate all’istante e la musica si riversa nella mia testa come l’esondazione di un fiume sulla strada (ma di questo parleremo tra qualche mese, quando arriverà l’annuale “emergenza maltempo”). Ogni singola nota va a prendere il posto di quelli che fino a quel momento erano problemi insormontabili, diffondendo in tutto l’organismo un senso di pace fluttuante, manco fosse MDMA. Non riconosco il brano ma sono sicuro che fosse uno dei dischi jazz di papà.Il corpo è fradicio di pioggia e stanco per la corsa, ma la mente è tornata sul tappeto rosso del salone di casa dei miei, a giocare con il camion di plastica, mentre nell’aria c’è questa canzone e un profumo di crostata appena fatta e sei così sereno che ti fai la cacca sotto, tanto porti il pannolino.
Il sassofonista è un capellone brizzolato che mi guarda e mi sorride con gli occhi mentre sono fermo lì, rapito da quel suono e dai ricordi, con la classica faccia ebete degli estasiati. Non sento le vibrazioni del telefono, non sento le spallate della gente che mi passa accanto, non sento il peso della responsabilità che se qualcosa non funziona al lavoro potrebbe crollare il mondo e sarebbe solo colpa tua, non sento il freddo né la stanchezza.
Sento solo la musica.
La musica è la creazione, o sarebbe meglio dire la scoperta, più bella e importante mai fatta dall’uomo. Sullo stesso piano potremmo metterci forse il soffritto e il sesso orale, ma non divaghiamo. Questo essere che è riuscito a costruire droni che bombardano a distanza, campi di concentramento, strumenti di annientamento come televisione e smarfons, è lo stesso che un giorno, dopo aver preso a clavate il vicino di caverna ha emesso un gorgheggio di soddisfazione incantando tutta la tribù, dando vita all’esperienza più emozionante che ha attraversato e continua ad attraversare la Storia dell’umanità, e che si ferma solo davanti ai cancelli dei teatri dei talent shows, dove non entra che il bizness.
Ogni epoca ha avuto la sua musica, che si è evoluta o sovrapposta o miscelata a quella delle altre epoche, delle altre culture, in un meraviglioso meltin’ pot che purtroppo è impossibile da raggiungere per l’essere umano. La musica non ha razza o religione o nazionalità, può essere suonata da un’orchestra di 100 elementi in frac alla corte di un re o da tre tossici in tuta nel garage alla corte del vicino che alla fine li denuncia per schiamazzi. Ma è ugualmente un modo di comunicare, di toccare il cuore o il cervello, di occuparti i sensi.
La musica parla tutte le lingue dell’universo, come ci insegna Spielberg negli incontri ravvicinati.
E in un giorno infrasettimanale di pioggia e di fretta neoliberista puoi ritrovarti così, imbambolato a godere di questo meraviglioso dono, mentre il resto della tua vita per quei pochi istanti passa in secondo piano e gli altri non hanno idea di cosa si stiano perdendo.
Poi il telefono fa una vibrazione più prolungata, una signora mi passa sul piede col trolley ed il brano finisce, mentre l’artista mi fa un inchino ed indica la custodia dello strumento aperta per terra, con dentro qualche misero spicciolo.
La realtà riappare, fredda e lucida.
La musica può salvare l’umanità, ma per farlo non dovrebbe mai smettere di suonare.
Mi dispiace, sto di corsa e non c’ho spicci, e trovati un lavoro vero, maledetto parassita della società… “Pronto? Ciao rete televisiva di cui non faccio il nome sennò me licenziano, tra poco sistemiamo tutto per fare una bella diretta così la gente resta attaccata allo schermo per vedere in tempo reale quello che succede dall’altra parte del mondo, mentre la sua vita passa veloce e in silenzio!”.
Buon uichènd a chi si prende sempre il suo tempo, sia esso un Sostenuto o un Allegro Vivace.
Francesco Cardarelli