Su Roma gravano i ritardi nell’attuazione delle riforme, l’elevato debito pubblico e l’incertezza politica. Monitoraggio per altri quindici Stati membri. Per la Germania si avvia l’analisi del surplus
La Commissione europea si fida dell’Italia, ma non troppo. Giorni fa ha dato credito al governo Letta con previsioni economiche positive, ma oggi lo ha incluso tra i sedici stati membri per cui è scattato il meccanismo di allerta. A livello pratico l’Italia paga l’elevato debito pubblico (a fine anno sarà al 133% del Pil e nel 2014 arriverà al 134%), e solo questo basta a “giustificare un monitoraggio per assicurare il pieno rispetto del Patto di crescita e stabilità”, recita il documento messo a punto dalla Commissione europea. Ma ciò che rende inquieti a Bruxelles è la dimensione politica del nostro paese. La ripresa, ha detto il presidente dell’esecutivo comunitario, Josè Manuel Barroso “è ancora fragile, i mercati si avviano verso la stabilità ma restano vulnerabili, e i rischi esistenti sono di natura politica”. Quello che l’Italia deve fare è dunque “evitare instabilità” e “completare le riforme promesse dal governo”, anche perché “la povertà e l’esclusione sociale, in particolare la forte deprivazione materiale, hanno registrato un forte incremento”.
L’esame non è dunque finito, anche perché le carte evidenziano carenze ed elementi di criticità: la riforma Fornero del mercato del lavoro “procede a rilento”, la riforma fiscale “è frammentaria”, “sussistono rischi di non attuazione” delle riforme per il mercato dei servizi con conseguenza negative per la competitività del paese, la modernizzazione delle infrastrutture “è ancora una sfida”. Il quadro, a ben vedere, proprio eccellente non è. All’Italia viene dato atto di aver compiuto progressi (“il consolidamento fiscale iniziato nel 2011 ha prodotto una correzione del deficit eccessivo”), ma “deve evitare compiacimenti”, è il monito di Barroso. E’ vero che, come ha ricordato il responsabile per gli Affari economici, Olli Rehn, “oggi assistiamo a una svolta economica” nella misura in cui il peggio sembra essere passato, ma “questa svolta va rafforzata”. Permangono incertezze e debolezze, ma bisogna andare avanti. Barroso ha riconosciuto che date le circostanze “possiamo permetterci di rallentare il ritmo del consolidamento di bilancio” (il che vuol minor eccesso di austerità), ma Rehn ha subito precisato che “non c’è un cambiamento di politiche quanto un cambiamento delle circostanze”. La ricetta anti-crisi fatta di tagli, sacrifici e riforme, dunque, non si cambia.
Nell’Europa che a fatica imbocca la strada della ripresa il monitoraggio però investe altri quindici paesi: per tre di loro – Germania, Lussemburgo e Croazia – “è la prima volta”, ha evidenziato Rehn. Una notizia. Per Germania e Lussemburgo si vuole valutare l’impatto dei rispettivi surplus sul meccanismo economico comunitario (anche questa una notizia, specie in tempi di crisi), per la Croazia, fresco di adesione all’Ue (è entrata a luglio), si intende capire quali rischi possa avere per sé e rappresentare per gli altri ventisette. Per la maggior parte dei paesi – Belgio, Bulgaria, Danimarca, Finlandia, Gran Bretagna, Malta, Paesi Bassi e Svezia – si tratta di una verifica delle correzioni e dei progressi fatti, e vedere se persistono o meno gli squilibri macro-economici già riscontrati. Francia e Ungheria, al pari dell’Italia, saranno passate al vaglio “attuazione” delle riforme e delle misure promesse. Per Spagna e Slovenia l’analisi si concentrerà sul rientro o meno degli squilibri eccessivi nonché il contributo delle politiche attuate da questi Stati membri alla loro correzione. Per tutti i sedici paesi sotto controllo i risultati non arriveranno prima della primavera.
Renato Giannetti