Roma – “Per me qualsiasi discorso con la Lega è chiuso”. Non poteva essere più chiaro di così il capo politico del Movimento 5 stelle, Luigi Di Maio, nel porre fine al dialogo con il leader del Carroccio Matteo Salvini, “dopo aver passato 50 giorni” a dirgli “che un contratto di governo si poteva fare”. Uscendo dalla consultazione con il presidente della camera Roberto Fico, iI candidato M5s alla presidenza del Consiglio ha detto chiaramente che considera scaduta l’offerta, perché “Salvini e la Lega hanno deciso di condannarsi all’irrilevanza per rispetto dei loro alleati, anzi del loro alleato” Silvio Berlusconi. Non sembra esserci più spazio per far nascere un esecutivo giallo-verde, né con una rottura che sganci il partito di Via Bellerio da quello di Arcore, né con un dietrofront dell’ex Cavaliere che accetti di dare un appoggio esterno. Ora, accogliendo la richiesta del segretario reggente Maurizio Martina, il M5s ha buttato la palla nel campo del Pd. Il punto è che i dem non hanno ancora deciso se giocare o no.
Martina ha infatti chiesto a Di Maio di confermare la rottura delle trattative con la Lega. In cambio, tuttavia, non ha offerto la disponibilità a sedersi al tavolo, ma solo a considerare di farlo. La decisione dovrà passare per la Direzione nazionale del Pd, e il disco verde è tutt’altro che scontato. Già dopo l’apertura di Martina, su Twitter diversi parlamentari dem annunciavano l’intenzione di votare contro. Tra questi Anna Ascani
Qualora il reggente Martina, come ha annunciato, sottoponesse qualsivoglia ipotesi di governo PD-Cinque Stelle alla direzione del partito, io voterò convintamente, senza esitazioni, contro. #senzadime
— Anna Ascani (@AnnaAscani) April 24, 2018
e il sottosegretario agli Affari europei, Sandro Gozi
Giusto che direzione @pdnetwork decida su accordo con #M5S Io voterò contro #senzadime
— Sandro Gozi (@sandrogozi) April 24, 2018
esponenti della corrente renziana, in teoria ancora in netta maggioranza nel partito. In ogni caso, se anche la Direzione dem stabilisse il via libera al negoziato, un eventuale accordo troverebbe attuazione solo se i gruppi parlamentari Pd restassero compatti. La maggioranza andrebbe poi rimpolpata anche con i seggi di Leu e delle componenti di centrosinistra nel gruppo misto, e non è detto che tutti siano disposti a sostenere un governo M5s-Pd senza avanzare richieste. Così il governo, soprattutto al Senato, rischierebbe di andare spesso in affanno. È per questa serie di motivi che un governo M5s-Pd, anche dopo le aperture delle ultime ore, rimane un’ipotesi difficile da praticare.
Di Maio lo sa, e non a caso ci ha tenuto a dire che, “se dovesse fallire questo percorso, per noi si dovrà tornare al voto”. Il leader del movimento non è disponibile a sostenere governi di scopo, del presidente o tecnici, per altro impraticabili perché anche Salvini è contrario. Non contempla neppure l’ipotesi di un esecutivo centrodestra-Pd – opzione esclusa dai veti reciproci di Lega e Pd – perché “con 338 parlamentari non esiste che si fa l’opposizione”. Con quei numeri in Parlamento, indica Di Maio, “una forza politica deve provare a fare un governo del cambiamento”. Una volta che ci ha provato, è il corollario, si può pure puntare sereni alle elezioni.