Bruxelles – Per Verdi, liberali (Alde), socialdemocratici (S&D) e Sinistra Unitaria (Gue) è tempo di prendere provvedimento contro l’Ungheria, per gli altri invece no. Il Parlamento europeo è diviso sulla minaccia allo Stato di diritto nel Paese membro dell’Est, e rischia di spaccarsi. L’Aula non si pronuncerà prima di settembre, ma il dibattito in seno alla commissione Libertà civili mostra già le spaccature su un tema spinoso pure Commissione e Consiglio. “Dobbiamo cercare il sostegno di tutti, e andrò a convincere i colleghi uno per uno”, sottolinea la Verde Judith Sargentini, la relatrice del progetto di proposta legislativa per l’attivazione delle procedure di sospensione dei diritti per l’Ungheria.
L’esponente dei Greens è consapevole che le richieste di attivazione dell’articolo 7 del trattato sul funzionamento dell’Ue, che prevede la possibilità di sospendere diritti per gli Stati membri, tra cui quello di voto, potrebbero non trovare i numeri necessari. “Non ho garanzie, ma abbiamo il dovere morale di provarci”.
Le dichiarazioni in commissione Libertà civili danno il senso degli schieramenti pro e anti-Viktor Orban, il primo ministro ungherese. La Verde Sargentini non ha dubbi che “sì, vediamo una minaccia per lo Stato di diritto in Ungheria, tale da richiedere l’attivazione dell’articolo 7”. La socialdemocratica Ana Gomes non nasconde che il suo gruppo è “pienamente a favore” della sospensione del diritto di voto dell’Ungheria in seno al Consiglio. Mentre per i liberali, spiega l’esponente Alde Sophie in ‘t Veld, “la questione non è tanto se attivare o meno l’articolo 7, ma piuttosto un’altra: se l’Ungheria si candidasse oggi per entrare nell’Ue, noi concederemmo la membership? No, non lo faremmo”. Difficile essere più chiari. Anche tra le fila della Gue si vede “una situazione di rischio sistematico” per lo stato di diritto in Ungheria e, al contrario, “non si vedono cambiamenti”, sottolinea Barbara Spinelli. Questi quattro gruppi da soli non hanno la maggioranza nell’Aula (se anche votassero tutti compatti per il ‘sì’ ad azioni contri Budapest, i gruppi avrebbero 359 voti su 751), e dunque andranno trovati i numeri per mandare un messaggio politico chiaro a Budapest e non solo.
Non sorprendono le posizioni dei gruppi euroscettico e della destra estrema. Efdd (il gruppo dove si collocano i 5 Stelle) e Enl (la casa politica europea della Lega) rifiutano l’idea di procedere contro Budapest. E anche tra i conservatori (Ecr) si levano voci a difesa di Orban. “Non riteniamo ci siano ragioni per puntare il dito contro l’Ungheria”, taglia corto Marek Jurek, polacco, secondo cui, al contrario, “l’Ungheria la dovremmo aiutare”. Perchè, spiega, “è vero che c’è il problema dell’immigrazione irregolare e la questione dell’integrazione dei Rom”.
Il Ppe continua a fare quadrato attorno al leader di Fidesz, partito affiliato ai popolari europei. La difesa è affidata a Roberta Metsola, del partito Nazionalista maltese. “Dobbiamo basarci sugli aspetti fattuali e mettere da parte la retorica politica. C’è tutta una serie di punti che non è strettamente legata allo stato di diritto”.
Le critiche al capogruppo Ppe, Mandref Weber, non mancano. Arrivano dall’S&D, così come dall’Alde. La Gue invece punta il dito contro “le esitazioni della Commissione europea, che non ha aiutato”. Si critica qui l’assenza di decisione di un esecutivo comunitario – il cui presidente Jean-Claude Juncker è del Ppe, al pari di Orban – in evidente imbarazzo.
Sargentini però non esclude di poter convincere una parte del Ppe a voltare le spalle a Orban. “Intanto ricordo che in politica niente è certo. E poi in questo momento, su questo tema, non vedo i popolari muoversi in modo compatto”. Il Ppe dunque è diviso su Orban, e questo potrebbe incidere. Per il momento non sembrano esserci i numeri per sfiduciare il leader ungherese. Appare ben più evidente la spaccatura del Parlamento.