La Francia ha un nuovo eroe, il tenente colonnello della gendarmeria Arnaud Beltrame ucciso a sangue freddo da un terrorista islamico durante un attacco ad un supermercato. A scorrere il curriculum di Beltrame si scopre che il tenente colonnello al suo destino in qualche modo si preparava. Commando paracadutista, addestrato a situazioni di crisi, combattente in Iraq, poco tempo prima di andare incontro alla morte aveva condotto un addestramento della gendarmeria che simulava proprio l’attacco terroristico ad un supermercato. Beltrame era un soldato ma soprattutto un patriota, uno di quegli uomini per cui la République è un ideale da difendere fino alla morte. Così lo hanno subito chiamato i suoi concittadini: un eroe e un patriota. Due parole che da questa parte delle Alpi difficilmente vanno insieme. L’Italia non manca certo di eroi fra le forze dell’ordine, e proprio in questi giorni abbiamo ricordato i poliziotti uccisi dalle Brigate Rosse, senza dimenticare i tanti che hanno dato la vita nella guerra contro la mafia. Ma da noi in questi casi non si parla quasi mai di patrioti, non si invoca l’idea della patria. La patria da noi è un concetto controverso. Perché in Italia l’idea di patria è stata sequestrata dal fascismo senza mai esserci restituita ripulita dai suoi miasmi mortiferi. L’estrema destra squadrista del Dopoguerra ne ha portato avanti i valori torbidi mescolandosi alle forze oscure della strategia del terrore, a Gladio, alle connivenze fra grande criminalità e politica. La sinistra a lungo internazionalista ha sempre sempre visto con sospetto un patriottismo che da noi assumeva subito connotazioni revansciste e repubblichine e che l’odierno nazionalismo becero ha di nuovo preso in ostaggio con le sue cupe derive di violenza e razzismo, dove patriottismo diventa lo sparare contro immigrati inermi. Forse per queste ragioni la patria della Resistenza non ha mai attecchito in Italia ed è rimasta uno slogan vuoto, buono per le commemorazioni ma incapace di suscitare devozione nella società, soprattutto ora che sono scomparsi i suoi condottieri. La patria francese invece è ancora capace di suscitare senso di appartenenza, è ancora un valore che unisce. Malgrado le contraddizioni e le divisioni interne, malgrado la perdita di influenza nel mondo, la Francia resta uno Stato forte. L’estrema destra d’Oltralpe non è mai riuscita a impossessarsi dell’idea di patria e l’attaccamento francese ai valori dello Stato non si è mai lasciato inquinare dalle gesticolazioni lepeniste. Proprio nella parola République si è sempre scandita la differenza fra le due opposte visioni della società. Si possono trovare diverse ragioni a questa diversa evoluzione dell’idea di patria fra Italia e Francia. L’onta di Vichy, la connivenza francese con il nazismo e ancor prima l’ideologia antisemita francese che nutrì quella tedesca, assieme agli oscuri anni del colonialismo in Algeria e in Indocina non sono macchie da poco sulla coscienza del paese. Ma contrariamente all’Italia, la Francia ha fatto i conti con il suo passato. In modo disordinato, è vero, non certo con la meticolosità e il rigore della Germania. Molti scheletri restano ancora negli armadi delle stanze del potere transalpine ma nondimeno lo Stato francese è sempre riuscito a traghettare la nazione oltre ogni trauma nella costruzione di un paese moderno e solidamente ancorato all’Europa. A questo Stato doveva certo pensare il tenente colonnello Arnaud Beltrame quando si è dato ostaggio al terrorista islamico che invece di Stato, di comunità di valori non ne ha ma è solo l’espressione di morte e distruzione. Oggi in Francia la gente scende in piazza per protestare contro le riforme del mercato del lavoro di Macron ma alla fine una legge di riforma entrerà in vigore e i francesi la rispetteranno perché sentiranno che il loro Stato tutela un interesse generale, quello della patria, che va oltre il contingente, che esprime una visione del futuro, che dà un senso alla nazione ed al suo ruolo nel mondo. Tutte cose che pochi italiani possono dire di sentire venire dal proprio Stato. Uno Stato che ha perso il controllo di parti del territorio, incapace di mettere in ordine i propri conti e di rinnovare le sue istituzioni, con un’economia fragile e in balìa del primo soffio di crisi mondiale, sempre più diviso fra un nord integrato nel sistema europeo e un sud assistito e pauperizzato, uno Stato oggi ostaggio di forze politiche che hanno ottenuto il consenso popolare invocando l’uscita dall’euro e l’abbandono del rigore di bilancio ed ora senza battere ciglio si rimangiano tutto, in un gioco di voltafaccia, finte e bizantismi dove chi perde sempre è proprio lui, l’italiano, il patriota, quello che credeva in un’idea di Stato nazionale che ci avrebbe reso migliori. Ubi bono ibi patria, diceva Machiavelli. Gli italiani che l’hanno capito la loro patria sono già andati a cercarla altrove.
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