Roma – Sembra una tela di Penelope quella su cui si stanno tessendo gli accordi per l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, per i quali si voterà a partire da domani. L’accordo che, sui giornali, sembrava ormai cosa fatta tra il leader del Movimento 5 stelle Luigi Di Maio e quello della Lega Matteo Salvini, ovvero affidare a un pentastellato la guida di Montecitorio e a un esponente del centrodestra quella di Palazzo Madama, rischia di saltare dopo che il capo di Forza Italia, Silvio Berlusconi, ha iniziato a giocare le sue carte sparigliando il tavolo, con il Pd del reggente Maurizio Martina che prova a inserirsi in un gioco dal quale sembrava escluso.
L’ex cavaliere ha ottenuto dall’alleato leghista il sostegno a Paolo Romani come candidato alla presidenza del Senato. Segno che Salvini, dopo aver scalato la leadership del centrodestra con il risultato elettorale, non sembra disposto a rompere l’alleanza, dalla quale dipendono per altro le sorti di diverse amministrazioni regionali e locali. Romani, capogruppo uscente dei senatori forzisti, è però “invotabile” dai Cinquestelle, come scrive lo stesso Di Maio su Facebook, mentre gode di simpatie nel Partito democratico. I dem, i quali sembravano relegati al ruolo di spettatori, potrebbero quindi tornare in gioco risultando determinanti per l’elezione della seconda carica dello Stato. Elezione che tuttavia potrebbe avvenire anche con i soli voti del centrodestra, dal momento che, in assenza di un vincitore ai primi tre tentativi – prima e seconda votazione prevedono la maggioranza assoluta e la terza la maggioranza dei votanti – si andrà al ballottaggio tra i due senatori più votati e basterà un voto in più per spuntarla.
Tutte le ipotesi sono ancora aperte e i tentativi di dialogo proseguono, ma la forzatura del centrodestra fa vacillare anche l’accordo che vedrebbe un pentastellato nello scanno più alto di Montecitorio. È quello di Raffaele Fico il nome più gettonato. Servirebbe a propiziare il dialogo col Pd, dati i trascorsi di sinistra del presidente uscente della commissione di Vigilanza Rai, e anche a tenere nei ranghi il dissenso che Fico in passato ha mostrato nei confronti del capo politico del Movimento. L’ufficializzazione della candidatura è però saltata. Sarebbe dovuta avvenire stamane, in un’assemblea di tutti i parlamentari M5s. Appuntamento rinviato senza data dopo le evoluzioni dello scenario che si è ingarbugliato.
Che sia crollata ogni certezza lo testimonia lo stesso Di Maio, che “nelle ultime ore” registra “difficoltà nel percorso” per l’individuazione dei presidenti delle Camere, e invoca una nuova riunione tra tutti i capigruppo delle forze politiche per “ristabilire un dialogo proficuo”. Impossibile dire al momento come andrà, dunque. La tela si continuerà a tessere, a disfare e a ritessere fino all’ultimo minuto. Anche perché, a dispetto delle dichiarazioni pressoché unanimi secondo le quali la partita per i presidenti delle Camere è slegata da quella per il governo, la formazione del prossimo esecutivo è la vera posta in palio.
È vero che le maggioranze che eleggeranno la seconda e la terza carica dello Stato – usiamo il plurale perché in questa fase non si può neppure escludere che siano due diverse compagini alla Camera e al Senato – potranno essere diverse da quella che sosterrà il prossimo esecutivo. Tuttavia l’elezione dei due presidenti influenzerà non poco le future trattative, e la mossa di Forza Italia sul Senato punta a scongiurare un governo giallo-verde e propiziare un patto futuro col Pd. Intesa che potrebbe essere ricercata già con l’elezione del presidente della Camera. Lì, a differenza del Senato, non è previsto un ballottaggio. Dopo la prima votazione in cui servono i due terzi dei deputati, e le due successive che richiedono i due terzi dei votanti, dal quarto scrutinio servirà comunque la maggioranza assoluta per eleggere il presidente. Possibile dunque che si vada oltre sabato, giorno in cui si conoscerà in ogni caso il nuovo presidente del Senato. A quel punto, se la forzatura del centrodestra sarà portata fino in fondo, la coalizione arrivata prima alle elezioni potrebbe accordarsi col Pd, lasciando i 5 stelle col cerino in mano. Nei corridoi di Montecitorio si nota poi un certo attivismo degli uomini del Pd, che starebbero lavorando a tenere un filo di speranza per l’elezione di un esponente del loro partito, come nome di garanzia della minoranza. Spesso lo scranno più alto della Camera è infatti stato assegnato all’opposizione. Il nome che circola è quello di Dario Franceschini, che già tentò senza successo la scalata nella scorsa legislatura. Una scelta di questo genere potrebbe anche nascondere un’intesa più ampia per un sostegno esterno del Pd a un governo di centrodestra.
C’è inoltre un altro elemento che, se non ci saranno accordi saldi potrebbe portare incertezze e sorprese: le votazioni saranno a scrutinio segreto. Tutto è legato ai confronti che si intensificheranno nelle prossime ore e renderanno probabilmente interlocutoria anche la giornata di domani, nella quale nessuno si aspetta di veder uscire una fumata bianca.