Tutti gli Stati europei tranne due si apprestano anche quest’anno a celebrare la festa più assurda d’Europa, quella che ricorda la sua autodistruzione. L’11 novembre tutti i monumenti ai caduti di Francia, Belgio e Regno Unito si copriranno di fiori e fin oltre oceano, fino in Australia, il papavero rosso della poesia del colonnello John McCrae ornerà gli occhielli di tante giacche in ricordo dell’armistizio del 1918. Gli unici a non festeggiare saranno i tedeschi e gli austriaci. E anche noi, ma solo perché ci siamo autocancellati la festa. Per inciso, un vero peccato: era l’unica guerra che avevamo vinto.
Ma celebrare la vittoria della Prima guerra mondale oggi è anti-storico e insensato perché da quella guerra sono nati tutti i mali dell’Europa moderna. Fascismo e nazismo prendono origine dalla catastrofe umana che dissanguò tutti i nostri paesi. Le frontiere arbitrarie tracciate dai paesi vincitori ancora oggi sono motivo di tensione perfino fra Stati membri dell’UE.
Eppure non la smettiamo di celebrare questo sinistro anniversario. Perfino il nostro presidente della Repubblica chiama Quarta guerra di indipendenza una guerra che ci portò ad opprimere altri popoli e a usurpare le loro terre, suscitando poi le rappresaglie che conosciamo e che abbiamo pagate care, con le foibe e l’esodo istriano. L’Europa del primo Novecento dominava il mondo e ne era il centro. La nostra supremazia economica, scientifica e culturale non aveva limiti. Ma l’urto della rivoluzione industriale suscitò le paurose diseguaglianze sociali che conosciamo e di cui i nazionalismi presero il controllo. Masse di diseredati si lasciarono convincere che il loro benessere fosse nel riscatto delle patrie oppresse dagli imperi.
I grandi gruppi industriali e l’alta finanza, che oggi come allora invece non hanno patria, soffiarono sul fuoco di pretestuosi motivi per scatenare una guerra disastrosa, la prima guerra industriale della storia. Le grandi fortune che approfittarono di quello sfacelo e che si costruirono sulla morte di milioni di persone, sono ancora qui e portano gli stessi nomi. Oggi come allora prosperano sulla distruzione altrui, non più sui campi di battaglia, almeno in Europa, ma sulle borse e sui mercati finanziari. E noi andiamo ancora ad accedere cerini agli alpini e a inginocchiarci al loro eroismo. Dovremmo lasciarli in pace e andare invece a portare corone di fiori sulle tombe dei disertori.
Diego Marani