In un editoriale pubblicato sul «Corriere della Sera» di domenica scorsa, Il potere vuoto di un Paese fermo, Ernesto Galli della Loggia dipinge un quadro cupissimo, quasi apocalittico, dell’Italia. Siamo ultimi in quasi tutto, ovvero siamo ai vertici di tutte le classifiche europee «della pressione fiscale, dell’evasione delle tasse, dell’abbandono scolastico, del numero dei detenuti in attesa di giudizio, della durata dei processi così come della durata delle pratiche per fare qualunque cosa».
Su molti punti dell’analisi è difficile non essere d’accordo. La colpa non è solo dei politici, ma anche degli imprenditori, che non hanno avuto «coraggio nell’innovare» e hanno dimostrato «poco fiuto per gli investimenti», e soprattutto dei banchieri, a giudicare dal dipinto più che realistico che Galli della Loggia fa delle banche, «organismi che invece di essere un volano per l’economia nazionale si rivelano ogni giorno di più una palla al piede: troppo spesso territorio di caccia per dirigenti vegliardi, professionalmente incapaci, mai sazi di emolumenti vertiginosi, troppo spesso collusi con il sottobosco politico e pronti a dare quattrini solo agli amici degli amici».
Dove dissento però radicalmente dall’analisi di Galli della Loggia è sui rimedi proposti per uscire dal pantano. «Abbiamo dunque bisogno di una classe dirigente che – messa da parte la favola bella della fine degli Stati nazionali e l’alibi europeista, che negli ultimi vent’anni è perlopiù servito solo a riempire il vuoto ideale e l’inettitudine politica di tanti – si compenetri della necessità di un nuovo inizio. Ripensi un ruolo per questo Paese fissando obiettivi, stabilendo priorità e regole nuove: diverse, assai diverse dal passato. Mai come oggi, infatti, abbiamo bisogno di segni coraggiosi di discontinuità, di scommesse audaci sul cambiamento, di gesti di mutamento radicale».
E quali sarebbero questi gesti coraggiosi? Uscire dall’Europa per rintanarci in un nazionalismo che tante disgrazie ci ha portato in passato? Cosa diventeremmo fuori dall’Europa, alla cui costruzione hanno dato un decisivo contributo i migliori italiani degli ultimi sessanta, settant’anni?
Io penso che su quest’ultimo punto abbia ragione il nostro presidente Giorgio Napolitano quando sostiene, come nel libro-intervista con Federico Rampini, che «è solo attraverso il discorso sull’Europa che la politica può riguadagnare forza di attrazione, partecipazione e ruolo effettivo nelle nostre società». E per far questo – è sempre Napolitano che lo sostiene – c’è bisogno di una «controffensiva europea». «La causa europea può avere successo solo con un’ampia partecipazione di forze giovani, oggi distanti dalla politica e non solo in Italia».
Galli della Loggia sembra convinto che ci sia ancora un importante spazio di manovra, soprattutto per quanto riguarda le politiche economiche e fiscali, all’interno di una presunta sovranità nazionale. Ma non è così, anche se Letta non ha ancora avuto il coraggio di essere chiaro su questo punto.
Ma quello che sfugge a Galli della Loggia mi sembra sia il fatto che la Germania (con l’aiuto dell’Italia) vuole andare avanti con il passo finale nella costruzione europea, l’unità politica, gli Stati Uniti d’Europa.
È molto probabile che Angela Merkel, subito dopo il varo del nuovo governo di Grosse Koalition, lanci una proposta di nuovo trattato che riprenda in modo sostanziale le idee di quello ideato da Spinelli nel 1984 e approvato prima dal Parlamento Europeo e poi dal Bundestag tedesco quasi all’unanimità. In quel trattato era prevista l’unione politica con ratificazione di due terzi degli Stati che allora facevano parte della Comunità. Il Trattato Spinelli prevedeva un’architettura in cui la Commissione sarebbe diventata un vero esecutivo politico, il Parlamento Europeo un vero parlamento, con un ruolo legislativo e di bilancio, e il Consiglio Europeo una sorta di Senato. D’altra parte a molti non è sfuggito che quello che ha detto la Machtfrau in occasione del ventesimo anniversario di Maastricht, il 7 febbraio 2012, coincide esattamente con la visione di Spinelli: «Abbiamo bisogno di più Europa, non di meno, e per poter far questo c’è bisogno dell’unità politica degli Stati europei, quello che non abbiamo fatto quando abbiamo lanciato l’Euro… La Commissione Europea, con competenze trasferite dai paesi dell’Unione, dovrebbe diventare il braccio esecutivo, cioè il governo degli Stati Uniti d’Europa, un governo che dovrebbe riportare a un forte Parlamento, che diventerebbe così la vera agorà europea. Il Consiglio Europeo dei capi di governo dovrebbe funzionare come se fosse una seconda Camera del Parlamento, la Corte Europea di Giustizia dovrebbe essere la più alta autorità del potere giudiziario». Conosciamo ormai bene la politica del passo dopo passo della Merkel, e di una cosa possiamo essere certi: Angela parla poco, spesso dice cose ovvie, ma quando esprime le sue idee sul futuro dell’Europa bisogna prenderla seriamente, perché non è una che parla a vanvera.
Quindi i segni coraggiosi di discontinuità che ci aspettiamo dai politici italiani, ma anche dai giornalisti, è che essi abbandonino l’eterna discussione su Berlusconi (Ennio Flaiano diceva che i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti; la stessa cosa si può dire oggi a proposito del berlusconismo) e comincino a discutere seriamente su quali dovrebbero essere le nostre posizioni in Europa quando avremo la presidenza del Consiglio Europeo nella seconda metà del 2014, subito dopo l’elezione del nuovo Parlamento Europeo, un periodo cruciale per il futuro dell’Europa. Questa sì che sarà una prova storica per l’Italia.
Infine, mi permetto di consigliare a della Loggia di leggere o rileggere gli scritti di Altiero Spinelli. «Si tratta del lascito più ricco su cui possono contare, per formarsi moralmente e per operare guardando al futuro, le nostre generazioni più giovani», come disse Napolitano nella sua prima uscita pubblica, che ricordo non molto gradita da alcuni, compreso il nostro editorialista, il 21 maggio 2006 a Ventotene. Napolitano la pensa allo stesso modo ancora oggi: «Sono convinto più che mai, constatando come da un indebolirsi in larghi strati di cittadini ed elettori, della conoscenza e comprensione del progetto europeo consegua il diffondersi della sfiducia nella politica, nella democrazia e nell’avvenire comune».
Elido Fazi