Sono andato nella zona dei colli tra Ostuni e Cisternino, in provincia di Brindisi, la mia città. Un paesaggio di grande bellezza. Qui, nelle ultime settimane, hanno trovato alcuni ulivi infetti dal batterio Xylella fastidiosa. I padroni dei terreni sono ora obbligati dalle sciagurate decisioni Ue e dalla legge italiana che le ha recepite a desertificare 4 ettari di ulivi e macchia mediterranea intorno a ogni albero “infetto”, sulle colline delle Murge da cui si vede il mare. Sono le misure imposte per un organismo da quarantena come ancora oggi è classificato il batterio Xylella fastidiosa. Gli espianti sono già iniziati.
Non importa che si tratterà SICURAMENTE di un sacrificio inutile e inefficace. Non importa che non sia MAI stato eradicato con questi metodi un batterio dalla natura quando è ormai diffuso in una intera regione (tutto il Salento è “zona infetta”, e qui siamo già oltre il Salento).
Non importa il fatto che questo batterio attacchi ulivi spesso secolari e poi decine e decine di altre piante e arbusti diffusissimi nella zona, che la logica dell’eradicazione richiede ora di espiantare, quando l’eradicazione avrebbe senso solo se riguardasse delle piante erbacee ripiantate annualmente, come patate e pomodori, la cui coltivazione potrebbe facilmente essere sospesa per qualche anno.
Non importa il fatto che la Xylella sia stata qualche mese fa riclassificata passando dalla lista1 del protocollo Eppo (organismi da quarantena non presenti nell’area) alla lista 2 (organismi da quarantena ormai presenti nell’area), con il riconoscimento che non siamo più nella situazione iniziale e contenuta, in cui quei metodi estremi di eradicazione potrebbero avere ancora un senso.
Non importa che non sia stato MAI dimostrato né che un ulivo infetto da Xylella sia destinato a morte certa, anche nel caso in cui venga curato, né che sia la Xylella effettivamente l’unica causa della sindrome da disseccamento degli ulivi in Salento.
Non importa che sia IMPOSSIBILE per i proprietari dei terreni esigere una controprova per accertare se veramente gli ulivi condannati siano infetti dalla Xylella; non si possono infatti richiedere analisi Pcr del Dna a un laboratorio diverso dall’unico autorizzato, quello diretto dai virologi baresi (gli stessi che per tutta questa vicenda, con la ricerca gestita in regime di monopolio, hanno ottenuto una dozzina di milioni di euro di finanziamenti).
Non importa il fatto che in Salento certi ulivi che la ricerca ufficiale avevo considerato spacciati perché infetti, e che poi sono stati sottoposti a cure da contadini, agronomi e ricercatori “eretici”, si sono ripresi e sono ora rigogliosi, non più disseccati, non più “malati”, anche se il patogeno è ancora presente. E non importa che questo dimostri come, con le giuste terapie fitosanitarie, la Xylella possa essere indebolita, la carica batterica ridotta, e le piante infette possano essere rafforzate e resistere, fino a stabilire una convivenza fra organismo infestante e pianta coltivata, una convivenza che non è diversa da quella che già esiste per decine e decine di altri casi nell’agricoltura moderna.
Ci sono due paradigmi scientifici che si stanno scontrando intorno alla Xylella: da una parte il paradigma cieco e ideologico dell’ERADICAZIONE, promosso con fede religiosa dai virologi di Bari, che la Commissione europea ha abbracciato e fatto proprio con proverbiale ottusità burocratica; dall’altra, il paradigma del buon senso, pragmatico e in definitiva ben più scientifico, della CONVIVENZA. Il primo minaccia di desertificazione e morte il bellissimo paesaggio pugliese, e prospetta di asservirlo agli interessi degli speculatori; il secondo vuole salvarlo.