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L’Europa intera ha gli occhi puntati sulla Germania e, più nel dettaglio, sulle negoziazioni della cosiddetta GroKo (“Grosse Koalition”). Non a torto. Dalla formazione di un nuovo governo di larghe intese a Berlino dipendono, quasi del tutto, le chance del Presidente francese, Emmanuel Macron, di realizzare un percorso di riforme dell’Eurozona e, più in generale, l’assetto futuro delle istituzioni comunitarie.
Per quanto riguarda le questioni tecniche legate a queste riforme, in realtà, ancora non esiste una discussione paneuropea, ma soltanto informazioni e spunti parziali, tra l’altro non coordinati. Si parla di un’intesa di massima che già ci sarebbe tra Merkel e Macron. Ma anche di una un compromesso ancora da raggiungere con la Commissione europea. D’altra parte, alcuni degli economisti più rinomati d’Europa hanno recentemente scritto un policy paper suggerendo cambiamenti della governance. In Italia, se n’è parlato poco.
Quel che è sicuro è che le istituzioni al centro di questi percorsi di riforme, dovrebbero essere proprio la Commissione, il Parlamento europeo, l’Eurogruppo e il Meccanismo europeo di stabilità (Mse). Più precisamente, la funzione e le responsabilità di queste ultime potrebbero subire mutamenti, in funzione di — e per sostenere — altri progetti di integrazione, come l’Unione bancaria, lo sviluppo di un budget per gli investimenti ecc.
Accanto a questo capitolo, ci sono però altre due dinamiche “politico-istituzionali” in atto che avranno, non di meno, un’influenza sulle future politiche monetarie e “fiscali” in Europa.
Dall’Eurogruppo alla Bce
Da un lato, c’è stato un rinnovamento delle figure guida dell’Eurogruppo. Dall’altro, c’è Francoforte e il giro di posizioni in seno a quello che, al netto della Commissione e dell’Eurogruppo, è il vero centro di potere operativo dell’Ue: la Banca centrale europea (Bce).
Quest’anno scade infatti il mandato di Vitor Constancio, vice-Presidente della Bce. I Paesi membri dell’Eurozona hanno tempo fino al 7 febbraio per presentare le candidature, mentre la decisione riguardo a chi occuperà effettivamente il posto a Francoforte verrà presa il 19 e il 22 febbraio. Spetterà proprio all’Eurogruppo, ovvero all’insieme dei ministri delle Finanze dell’Eurozona (previa consultazione del Parlamento europeo e della stessa Bce), indicare la direzione.
Sebbene possa sembrare una sfida poco importante, la testata economica tedesca, Handelsblatt, ha scritto che, dalla scelta del vice-Presidente, dipenderebbe, a sua volta, un subentro ancora più importante. Quello che riguarda il Presidente della Bce, Mario Draghi, in “scadenza di contratto” a settembre 2019. Perché?
Nord contro Sud?
Secondo Handelsblatt, che cita come fonti degli esperti delle dinamiche istituzionali, la distribuzione delle cariche dovrebbe seguire un percorso abbastanza lineare per cui, se il vice-Presidente proviene da un Paese del Sud, il Presidente dovrebbe, teoricamente, essere di estrazione di uno Stato del Nord.
A parte il fatto che una logica di questo tipo non andrebbe molto d’accordo con il mandato ufficiale degli organi istituzionali comunitari, ovvero di rappresentare l’interesse dell’Unione nel loro complesso — nel caso della Bce, dell’Eurozona quindi — è chiaro che il match “de Guindos — Lane” assume un contorno rilevante.
L’attenzione riservata dalla testata tedesca alle candidature per la Vicepresidenza dipende poi dal fatto che Jens Weidmann, attuale Presidente della Banca centrale tedesca (Bundesbank), è dato come uno — se non come “il” — candidato alla successione di Draghi.
Ma proprio alla luce del ragionamento appena (complementarità Nord-Sud) esposto e della nazionalità di de Guindos, Weidmann potrebbe “vacillare”.
Intanto, in Spagna, secondo quanto riportato da El Mundo, il ministro delle Finanze si è detto convinto che Madrid “otterrà il posto” presso la Bce. La testata spagnola ha usato toni sarcastici descrivendo il convincimento di de Guindos, “lo stesso espresso tempo addietro, in merito alle tentativo (fallito) di occupare il posto di Presidente dell’Eurogruppo”.
Ci sono elementi che parlano a favore dell’irlandese o dello spagnolo? Va detto che la Bce ha raramente accolto a braccia aperte figure politico-governative.
I profili più adatti alla posizione sono quelli tecnici (ex-Presidenti di Banche centrali, ecc.). La suddetta esigenza di indipendenza dell’istituzione monetaria andrebbe infatti poco d’accordo con chi ha legami forti, anche a causa di incarichi precedenti, con il potere politico degli Stati membri (si veda, a proposito, il caso Jörg Asmussen).
Eppure, sempre secondo El Mundo, dalla Bce sarebbe arrivata soltanto una richiesta per l’Eurogruppo: nominare qualcuno che possa accentrare su di sé un ampio consenso.
Il ricambio istituzionale deve svolgersi rapidamente e senza intoppi (un precedente negativo, in questo senso, è legato all’esperienza della nomina ed elezione del lussemburghese, Yves Mersch, nel 2012). D’altra parte, la garanzia più solida per de Guindos, è lo stesso Weidmann. In che senso?
La Germania non ha mai “messo le mani” sul posto del Presidente della Bce. Proprio per questo motivo, secondo Steffen Stierle, che ha scritto del Presidente della Bundesbank su Euractiv, Weidmann è sicuramente il candidato più forte. Senza contare che, il tedesco può vantare un curriculum vitae straordinario.
Insomma, rovesciando la consequenzialità delle nomine, la certezza di un post-Draghi “alla tedesca”, potrebbe favorire una vicepresidenza “del Sud” e quindi, de Guindos.
Allo stesso tempo, nel suo editoriale, Stierle dubita delle “capacità” di Weidmann. A spaventare, sarebbe una certa “rigidità” che mal si concilierebbe con il ruolo di chi è chiamato, costantemente, a trovare una compromesso di policy nell’interesse dell’intera Eurozona. E ciò sarebbe ancora più importante visto che, recentemente e “fin dall’introduzione dell’Euro, gli interessi tedeschi sono stati dominanti […] e le regole, secondo le quali la Bce si deve orientare, corrispondono […] a quelli della Bundesbank, ai tempi del Marco”.
Ma non finisce qui: “[Weidmann] appartiene a un gruppo di serrati critici della politica monetaria non-convenzionale [di Draghi]. [Weidmann] si è sempre detto contrario ai salvataggi tramite l’EFSF e il Mes. Nel settembre del 2012, ha votato contro il piano di acquisti illimitati di titoli di Stato” – per intenderci, Weidmann si oppose a Draghi quando, quest’ultimo, per salvare l’Euro, pronunciò il noto “whatever it takes”. Stierle arriva addirittura a chiedersi: “L’Euro esisterebbe ancora se Weidmann fosse stato al posto di Draghi dal 2011”?
La critica di Piketty
Di Weidmann, Constancio, de Guindos, ma, più in generale, del processo di rinnovamento della Bce ha scritto anche Thomas Piketty su Social Europe, riprendendo un appello lanciato su Vox Europe. Secondo l’economista francese, è assurdo che non ci sia un dibattito pubblico su chi guiderà l’istituzione di Francoforte.
Eppure, di domande rilevanti riguardo al ruolo della Bce e delle sue politiche nel futuro prossimo ce ne sarebbero molte.
Per esempio: “Che posizione dovrebbe occupare la Bce nel processo di riforma della governance dell’Eurozona? Quali saranno i suoi obblighi di fronte al Parlamento europeo? Cosa accadrà alla politica monetaria, quando cambierà il trend dell’inflazione? Quali sono le priorità per i prossimi 8 anni? Che ruolo giocheranno i partner sociali nella definizione delle politiche? Che supporto fornirà la Bce alle politiche dell’Unione? Che effetti redistributivi ci si potrà aspettare dalla politiche della Bce in futuro?”
Tecnicamente, scrive Piketty, non esiste nulla che impedisca ai ministri delle Finanze “di rendere pubblici, o di giustificare, i criteri secondo i quali esprimono le loro preferenze per un candidato o l’altro; tanto meno, le condizioni che impongono a questi ultimi”.
Difficile che lo faranno. Per questo, almeno i giornali, dovrebbero scriverne.