Bruxelles – Un avvertimento senza fare nomi, i cui destinatari sono ormai i soliti noti. Ospite a Sofia per il forum ‘Eu Meets the Balkans’, la commissaria Ue per l’Allargamento, Marta Kos, ha affermato che “in alcuni Paesi (candidati, ndr) le violazioni dei diritti umani, delle libertà fondamentali e dei principi democratici rendono difficile l’adesione“. Tra i dieci impegnati nel percorso verso l’ingresso nell’Unione, basta riavvolgere gli avvenimenti degli ultimi mesi – dall’arresto del sindaco di Istanbul in Turchia alle violenze contro i manifestanti in Serbia fino alle controverse leggi di stampo putiniano in Georgia – per ipotizzare a chi fosse diretto il messaggio.
Alla kermesse annuale in Bulgaria erano presenti diversi rappresentanti a livello ministeriale dei Paesi candidati all’Ue. La commissaria europea ha sottolineato che “oggi più che mai, l’unificazione dell’Europa è la via per consolidare la stabilità e garantire una pace e una sicurezza sostenibili”. In un periodo di crescenti tensioni geopolitiche, l’allargamento diventa “il nostro strumento politico più strategico“.
Bruxelles ha fissato come orizzonte per una nuova ‘ondata’ dell’allargamento il 2030. I nove candidati – alcuni da più di un decennio – sono Albania, Serbia, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro, Moldova, Macedonia del Nord, Georgia, Ucraina e Turchia. Nel conteggio viene incluso anche il Kosovo, attualmente potenziale candidato. In realtà, nonostante il rinnovato impulso che sta cercando di dare la Commissione europea, per ora gli unici due che sembrano in grado di concludere positivamente i negoziati di adesione entro pochi anni sono l’Albania e il Montenegro.

Fatta eccezione per l’Ucraina, per la quale si stanno bruciando le tappe, gli altri procedono a rilento. Per Turchia e Georgia, è di fatto congelato. E la Serbia, tassello fondamentale dell’integrazione dei Balcani occidentali, è ostaggio di un autoritario presidente, Aleksandar Vucic, disposto a compromettere il percorso verso l’Ue pur di rimanere al potere in un Paese travolto dalle proteste anti-governative.
“So che in molti dei nostri paesi candidati c’è frustrazione“, ha proseguito Kos, giustificando la lentezza del percorso di adesione con il fatto che “negli ultimi 15 anni l’Ue è stata troppo spesso consumata da se stessa: una crisi del debito, le sfide della migrazione, l’uscita di un membro importante dall’Unione, le conseguenze della pandemia e una crisi energetica senza precedenti”.

Ora invece, la missione di Kos è “accelerare il più possibile i negoziati”. L’esempio da seguire è quello di Tirana, che negli ultimi sei mesi ha aperto i negoziati di adesione su 16 capitoli su 35 totali. La Commissione europea è insomma pronta a fare la sua parte, ma chiede che dall’altra parte “si rompa con i fantasmi del passato e si guardi al futuro“. Procedere nei negoziati e raggiungere gli obiettivi posti da Bruxelles – in termini di stato di diritto, indipendenza della giustizia, stabilità finanziaria e allineamento alla politica estera dell’Unione -, “richiede la capacità di raggiungere compromessi difficili”, perché spesso “tocca strutture di potere consolidate, sfida interessi acquisiti, questioni di identità e richiede un chiaro orientamento geopolitico”.
La commissaria ha promesso che “non volterà le spalle” a nessuno dei Paesi candidati e ribadito l’obiettivo che “il maggior numero possibile tagli il traguardo (dell’adesione, ndr)” durante il suo mandato. Tra le varie iniziative che l’Ue sta studiando per aumentare l’integrazione dei Paesi candidati anche prima della loro adesione, Kos ha aperto alla possibilità di “includere i Paesi candidati in qualità di osservatori nel Parlamento europeo e nel Consiglio“. Uno schema già sperimentato al Cese (Comitato europeo economico e sociale), di cui si è fatto portavoce convinto anche il premier albanese Edi Rama. “Dobbiamo pensare fuori dagli schemi – ha sottolineato Kos -, in un’epoca in cui non ci sono più schemi”.