Bruxelles – Dazi, tasso di cambio e inflazione: è questo il circolo che richiama le attenzioni della Bce. La Banca centrale europea guarda silenziosamente ma non senza qualche apprensione a come il mondo e i mercati reagiscono alle tariffe degli Stati Uniti sui prodotti commerciali esteri, e la presidente dell’Istituzione di Francoforte, Christine Lagarde, ammette: “Valutiamo gli impatti sull’inflazione della variazioni dei tassi di cambio“.
La questione di fondo è il rapporto di forza tra monete. In materia di scambi commerciali, i dazi rendono beni e prodotti importati più costosi riducendo quindi la domanda. Con meno domanda di prodotti stranieri diminuisce anche la richiesta di valuta estera necessaria per effettuare gli acquisti, e questo determina una apprezzamento della valuta nazionale. Nel caso specifico, il dollaro americano diventa più forte nei confronti dell’euro, che non serve più nelle quantità di prima per pagare un bene ‘made in Eu’ che è diventato più caro. Di contro, anche le esportazioni statunitensi subirebbero un rallentamento, perché la valuta costa di più.

Un allarme giustificato, visto che potrebbe materializzarsi il rischio di una spirale bassa-crescita e alta inflazione, quella stagflazione che all’interno dell’Unione europea si evocava all’indomani dello scoppio della guerra russo-ucraina. Lagarde comunque assicura: “Siamo pronti ad usare gli strumenti a disposizione per garantire stabilità finanziaria e dei prezzi”.
Se dalla Bce si guarda con apprensione l’andamento dei tassi di cambio per le ripercussioni sul costo della vita, dalla Commissione europea si guarda alla crescita. L’esecutivo comunitario presenterà a metà maggio le previsioni economiche di primavera, ma il commissario per l’Economia, Valdis Dombrovskis, offre già delle anticipazioni, tutt’altro che rassicuranti. Secondo le ultime simulazioni sull’impatto dei dazi statunitensi, il Prodotto interno lordo degli Stati Uniti si ridurrebbe dallo 0,8 per cento all’1,4 per cento entro il 2027. “L’impatto negativo sull’Ue sarebbe inferiore a quello degli Stati Uniti, circa lo 0,2 per cento del Pil“. Ciò nel caso che i dazi fossero in vigore per poco tempo. “Se invece fossero confermati permanentemente le conseguenze economiche saranno negative del 3,1-3,6 per cento per gli Usa e 0,5-0,6 per cento per l’Ue, l’1,2 per cento per il Pil mondiale, mentre il commercio globale diminuirà del 7,7 per cento tra tre anni”.