Bruxelles – Salario minimo, regola per molti ma ancora non proprio per tutti. Ognuno fa quel che vuole, in ambito di competenza esclusivamente nazionale. I dati Eurostat di fresca pubblicazione dunque non sorprendono, sono solo un aggiornamento di una situazione consolidata e cambiata di poco. Tra l’1 gennaio 2020 e l’1 gennaio 2025 quello che cambia è l’aumento del numero degli Stati membri a prevedere per legge un salario minimo, passato da 21 a 22 Paesi. Rispetto a cinque anni fa è Cipro ad aver introdotto una busta paga garantite per legge che prima non c’era. Attualmente restano Italia, Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia senza una remunerazione di base.
Calcolato in modo diverso e comunque ancorato al costo della vita nel Paese, il salario minimo registra diversità di ‘peso’ in busta. Così praticamente la metà degli Stati membri a prevedere la paga di base – 10 su 22 – eroga importi inferiori a mille euro. E’ il caso di Bulgaria (equivalente di 551 euro), Ungheria (equivalente di 707 euro), Lettonia (740 euro), Romania (equivalente di 814 euro), Slovacchia (816 euro), Repubblica Ceca (equivalente di 826 euro), Estonia (886 euro), Malta (961 euro), Grecia (968 euro) e Croazia (970 euro).
In altri sei Stati membri dell’Ue il salario minimo varia invece da 1.000 a 1.500 euro al mese. E’ questo il caso di Cipro (1.000 euro), Portogallo (1.015 euro), Lituania (1.038 euro), Polonia (equivalente di 1.091 euro), Slovenia (1.278 euro) e Spagna (1.381 euro). Nei restanti sei Stati il salario minimo è invece superiore ai 1.500 ed eccede addirittura la soglia dei duemila. Così è in Francia (1.802 euro), Belgio (2.070 euro), Germania (2.161 euro), Paesi Bassi (2.193 euro), Irlanda (2.282 euro) e Lussemburgo (2.638 euro).
I dati mostrano anche una diminuzione del differenziale di retribuzione. Se nel 2020 il salario minimo del Lussemburgo, il più alto di tutti, era sette volte quello bulgaro, il più basso, oggi è poco meno di cinque volte (4,8 volte, precisa l’istituto di statistica europeo).
Cifre e situazione aggiornate rilanciano il dibattito politico, nello specifico quello italiano. “Questo governo si svegli, altrimenti ai giovani italiani non resterà che emigrare per trovare una giusta ed equa retribuzione”, tuona Pasquale Tridico, capo delegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo. Il tema della ‘fuga dei cervelli’ non è nuovo ed è legato anche alla questione del salario minimo, e a livello europei si sta lavorando. Serve però anche una spinta in Italia.
“I dati Eurostat pubblicati oggi dimostrano che i lavoratori italiani sono discriminati rispetto ai loro colleghi europei”, continua l’esponente pentastellato. “La ministra Calderone – attacca Tridico – deve spiegare come sia possibile che in Italia ben 5,7 milioni di lavoratori dipendenti percepiscano meno di 850 euro netti al mese, una cifra che sale a 7,7 milioni di lavoratori se il reddito percepito è inferiore ai 1.200 euro”. Ciò per ribadire che “i salari da fame sono una delle principali piaghe del nostro Paese, una vergogna che subisce l’indifferenza del governo e della maggioranza”.