Bruxelles – L’industria farmaceutica europea ha già un piede oltreoceano. L’ultimatum arriva diretto a Ursula von der Leyen, che ha incontrato oggi (8 aprile) i big della filiera nel Dialogo strategico sul settore farmaceutico: i dazi imposti da Trump sono la goccia che fa traboccare il vaso, e ora “ci sono pochi incentivi a investire nell’Ue e significativi motivi per delocalizzare negli Stati Uniti“.
Il monito dell’Efpia (Federazione europea delle industrie e associazioni farmaceutiche) non lascia spazio a fraintendimenti: “se l’Europa non apporterà un rapido e radicale cambiamento di politica, la ricerca, lo sviluppo e la produzione farmaceutica saranno sempre più probabilmente indirizzati verso gli Stati Uniti”. Le tariffe reciproche che Washington imporrà da domani spostano definitivamente un equilibrio molto precario. Perché gli Stati Uniti sono già molto più attrattivi dell’Europa “in ogni parametro di investimento, dalla disponibilità di capitale, alla proprietà intellettuale, alla velocità di approvazione, ai premi per l’innovazione”.
La situazione, per chi fa ricerca farmaceutica nel vecchio continente, è fotografata da un sondaggio presentato dall’Efpia a von der Leyen: 18 tra le grandi e medie imprese europee hanno individuato “fino all’85 per cento degli investimenti in conto capitale (circa 50,6 miliardi di euro) e fino al 50 per cento delle spese in ricerca e sviluppo (circa 52,6 miliardi di euro) potenzialmente a rischio“. Un dato – spiega il sondaggio – calcolato su un totale di 164,8 miliardi di investimenti pianificati nei prossimi quattro anni sul territorio Ue.
Efpia ha elencato le proprie condizioni: realizzare un mercato Ue competitivo che “attragga, valorizzi e ricompensi l’innovazione in linea con altre economie all’avanguardia” nella cura dei pazienti; “rafforzare, anziché indebolire”, le disposizioni europee in materia di proprietà intellettuale; adottare “un quadro normativo leader a livello mondiale” che favorisca l’innovazione; garantire la “coerenza delle politiche in materia di legislazione ambientale e chimica per assicurare una catena di produzione e fornitura di medicinali resiliente” in Europa.

A discutere della risposta dell’Ue ai dazi statunitensi, c’era anche EuropaBio, il più grande gruppo industriale europeo nel settore delle biotecnologie. La richiesta è quelle che sta pervenendo da molti altri settori: risparmiare “i prodotti biofarmaceutici e i loro input di produzione” dalla guerra commerciale con Trump, perché i dazi “avranno un impatto sostanzialmente negativo su questo settore innovativo e sui pazienti, attraverso catene di approvvigionamento interconnesse a livello globale”.
Il tempo stringe, i Paesi membri saranno chiamati già domani a dare il via libera al primo round di contromisure europee, quelle sull’acciaio e l’alluminio americani in risposta ai dazi già in vigore sulle industrie europee. Oggi, il portavoce dell’esecutivo Ue responsabile per il commercio, Olof Gill, ha previsto che la Commissione europea potrebbe proporre l’ulteriore risposta sulle tariffe reciproche (quelle che scattano domani) già la settimana prossima. La lista dei prodotti è in via di definizione, tra aggiunte e depennamenti a seconda degli umori di associazioni industriali e Paesi membri.
L’industria farmaceutica mette alle strette Bruxelles, e i dazi sono soltanto l’ultima occasione per ribadire che “il luogo in cui avviene l’innovazione è importante, per i pazienti, per i sistemi sanitari, per l’economia e la sicurezza europee”. Il rischio è che l’Europa “venga ridotta a consumatrice delle innovazioni di altre regioni“.