Bruxelles – Gli indici delle borse europee ed americane in caduta libera dopo i dazi annunciati da Donald Trump a tutti i Paesi del mondo. Il tonfo è particolarmente evidente a Wall Street, che dopo un’apertura in forte calo è peggiorato ancora: il Dow Jones perdere il 3,56 per cento, in Nasdaq al 4,89 per cento e lo S&P 500 il 3,96 per cento. Non va meglio al di qua dell’Atlantico: Francoforte, Parigi, Londra e Piazza Affari a Milano, tutte in rosso a poche ora dalla chiusura.
È bastato l’annuncio di ieri sera (2 aprile) per anticipare il caos che si riverserà sul commercio internazionale a partire dal 5 aprile, quando gli Stati Uniti applicheranno a tutti i partner commerciali un livello minimo di tariffe reciproche del 10 per cento. Nello schema di Trump, il 9 aprile scatteranno invece le misure ad hoc per i 60 “più cattivi”. L’import dall’Ue sarà colpito con dazi al 20 per cento, quella dalla Cina addirittura al 54 per cento. Senza dimenticare che, per l’acciaio, l’alluminio e l’automotive europeo, sono già entrati in vigore i dazi del 25 per cento.
Inevitabilmente, a metà giornata il Dax di Francoforte ha perso il 2,21 per cento, il Cac 40 di Parigi il 2,64 per cento, l’indice Ftse Mib di Milano il 2,24 per cento. Contiene il crollo il Ftse di Londra, ‘graziata’ da Trump con l’imposizione di dazi del 10 per cento, in perdita dell’1,47 per cento. In Asia lo stesso copione: il Nikkei di Tokyo si sveglia in rosso del 3,3 per cento, Honk Kong in calo del 2,14 per cento e Shanghai dello 0,8 per cento.
“A Wall street diciamo: fidatevi di Donald Trump“, ha dichiarato la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, commentando alla Cnn il crollo dei mercati, ribadendo la narrativa del tycoon per cui “questa è l’inizio dell’età dell’oro, gli Stati Uniti non saranno più fregati dalle altre nazioni”.

Appare difficile però fidarsi di una mossa che ha lasciato a bocca aperta esperti ed economisti di tutto il mondo. Senza entrare nel merito della politica protezionista, ma nel metodo a dir poco sgangherato con il quale l’amministrazione Trump ha calcolato le aliquote da applicare al resto del mondo (che saranno imposte perfino all’isola Heard e alle isole McDonald, due isole vulcaniche nell’Antartico tra i posti più remoti della Terra, completamente disabitate).
La Casa Bianca avrebbe calcolato i presunti dazi di cui sono vittima gli Stati Uniti semplicemente dividendo il surplus commerciale di ogni Paese nei confronti di Washington (la differenza tra quanto esportano negli Usa e quanto importano dagli Usa) per il totale delle esportazioni. Ad esempio, per quanto riguarda la Cina: di fronte a un surplus di 291.9 miliardi e ad un totale di esportazioni verso Washington del valore di 438.9 miliardi, la Casa Bianca ha dedotto che Pechino impone dazi del 67 per cento agli Stati Uniti. E quindi, per gentile concessione, ha deciso di rispondere con la metà, il 34 per cento. Lo stesso vale per l’Ue, accusata da Trump di imporre dazi del 39 per cento verso gli Stati Uniti, e dunque colpita con tariffe reciproche al 20 per cento. Oltretutto, denunciano gli analisti europei, nel calcolo viene considerato solo il surplus di beni (e non di servizi) e l’IVA viene trattata come un dazio.
E così, Washington ha imposto aliquote del 49 per cento alla Cambogia, del 48 per cento al Laos, del 46 per cento al Vietnam. Senza tenere conto – come rileva il The Guardian – che il surplus commerciale di tali Paesi nei confronti degli Stati Uniti non è dovuto a una discriminazione contro i prodotti americani, ma al fatto che sono Paesi relativamente poveri e dunque poco interessati ai lussuosi beni che in genere esportano gli Stati Uniti. Per altro, sono Paesi che sono diventati parte della catena di fornitura globale per le grandi aziende tecnologiche e di abbigliamento a stelle e strisce, come Nike, Intel e Apple.
E infatti, i pesantissimi dazi imposti al Vietnam hanno fatto crollare le azioni del colosso americano delle calzature: se si va a scorporare l’indice Dow Jones Industrial Average, che tiene traccia di 30 tra le più grandi aziende statunitensi, si scopre che Nike è la più colpita, in calo di oltre il 10 per cento.
Non sembrano invece aver avuto effetti sulle Borse i dazi (10 per cento) imposti alle isole antartiche Heard e McDonald (territorio australiano), dove da circa 140 anni non abitano più esseri umani e dove non c’è attività economia. Ci sono però pinguini e foche. Evidentemente, secondo l’amministrazione Trump, molto industriosi.