Dall’inviato a Strasburgo – L’Ungheria di Viktor Orbán rimane l’osservata speciale in Ue. Finora ci sono state più chiacchiere che azioni concrete per invertire (o quantomeno arrestare) il declino democratico nel Paese mitteleuropeo, sotto procedura d’infrazione da oltre sei anni. Ma forse qualcosa si sta lentamente per muovere, mentre il premier magiaro prosegue con la stretta contro le minoranze, provoca i suoi partner a dodici stelle e tira la corda del diritto internazionale.
Da un lato ci sono le picconate sempre più violente che Viktor Orbán sta continuando ad assestare all’impalcatura della democrazia in Ungheria, smantellando lo Stato di diritto e il suo sistema di garanzie, pesi e contrappesi. Cattura dei media, riforme della magistratura che mettono il bavaglio ai giudici critici contro il suo governo, estensione dello “stato giuridico speciale” che garantisce ampi poteri al capo dell’esecutivo bypassando il Parlamento (comunque dominato dal suo partito, Fidesz, alleato in Europa con Matteo Salvini e Marine Le Pen nei Patrioti), modifiche costituzionali restrittive.
Sul modello di un provvedimento in vigore nella Russia di Vladimir Putin, il leader magiaro ha fatto recentemente approvare una legge sugli “agenti stranieri” che ostacola le attività delle entità che ricevono finanziamenti dall’estero, con la scusa di proteggere la sovranità nazionale. Una guerra a tutto campo contro le organizzazioni della società civile che ancora resistono all’assedio, e in generale contro tutti i contropoteri e corpi intermedi.

Per non parlare della crociata senza quartiere contro la cosiddetta ideologia gender, con l’ultima ciliegina sulla torta rappresentata dalla messa al bando del Pride di Budapest, previsto per il prossimo 28 giugno. Con un solo colpo di spugna, il primo ministro mette contemporaneamente nel mirino i diritti della comunità Lgbtq+ e mina la libertà di assemblea dell’intera popolazione ungherese, allo scopo di “tutelare i bambini”.
Dall’altro lato, in totale sprezzo del diritto internazionale, il premier magiaro accoglie proprio in queste ore il suo omologo israeliano Benjamin Netanyahu, sul cui capo pende dallo scorso novembre un mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale (Cpi), di cui l’Ungheria è parte. Da uomo forte a uomo forte, entrambi intenti a ridimensionare l’indipendenza della magistratura per metterla sotto il controllo del potere esecutivo.
La misura è colma da tempo per gli eurodeputati, che nel pomeriggio di oggi (2 aprile) hanno discusso durante la sessione plenaria in corso a Strasburgo gli ultimi sviluppi nel Paese mitteleuropeo. Dalla Sinistra, Ilaria Salis (che col governo ungherese ha avuto più di qualche dissapore) ha parlato di uno “sfregio al diritto e alle libertà civili” giunto ormai “oltre il punto di non ritorno”, mentre per la socialista francese Chloé Ridel il premier magiaro “conduce una guerra contro la dignità umana“. Secondo il popolare austriaco Reinhold Lopatka, coi fondi comunitari non si possono “sostenere governi che minano la democrazia” e ne va quindi sospesa l’erogazione.
La relatrice dell’Eurocamera sul file Ungheria, l’ambientalista tedesca Tineke Strik, ha parlato di una “minaccia concreta” alla tenuta della democrazia nel Paese, anche alla luce dei commenti di Orbán che ha definito i critici (giornalisti, giudici e ong) come dei “parassiti” da “eliminare”. Il timore diffuso è che vengano stilate “liste nere” di oppositori politici, uno sviluppo che potrebbe andare a braccetto con la possibilità di usare tecnologie di riconoscimento facciale (la premessa perfetta per uno “Stato di polizia”, dice Strik).

Una delegazione della commissione per le Libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Libe) si recherà a Budapest in missione a metà aprile, per monitorare la situazione e valutare gli ultimi sviluppi, fornendo la base per una nuova relazione, sempre a firma di Strik, che dovrebbe essere pronta per il prossimo autunno.
Un altro allarme (l’ennesimo) lo ha lanciato, sempre oggi, anche il Consiglio d’Europa. Rivolgendosi ai deputati magiari, il commissario per i Diritti umani Michael O’Flaherty li ha esortati a non procedere con una serie di provvedimenti legislativi – inclusa la manomissione della Carta fondamentale per inserirvi, ad esempio, il riconoscimento legale delle sole coppie eterosessuali – in quanto “sollevano dubbi sulla loro compatibilità con gli standard dei diritti umani“.
Ma forse si intravede in lontananza una luce in fondo al tunnel. Qualcosa sembra muoversi in seno al Consiglio, dopo anni di immobilismo durante i quali una procedura ex articolo 7 del Trattato sull’Unione europea (Tue), avviata nel settembre 2018, è rimasta incagliata. Intervenendo da Strasburgo, il ministro polacco agli Affari europei Adam Szlapka ha ribadito l’impegno di Varsavia (che detiene la presidenza di turno dell’Ue) nella tutela dello Stato di diritto.
Ora, si starebbe allungando la lista delle cancellerie sempre più insofferenti nei confronti di Orbán, che sarebbero 19 grazie all’importante aggiunta della Germania, da sempre tiepida sulla questione anche a causa degli interessi economici legati all’industria automobilistica nazionale, che ha delocalizzato svariati stabilimenti in Ungheria. Il cancelliere in pectore Friedrich Merz sarebbe d’accordo coi futuri partner di governo, i socialdemocratici dell’Spd, nell’aumentare la pressione sul leader magiaro attraverso il ricorso sistematico al congelamento dei fondi comunitari, se Budapest continuerà a scivolare verso l’autoritarismo e a mettersi di traverso sul dossier Ucraina (tanto nel sostegno a Kiev quanto nelle sanzioni contro Mosca).

La soglia legale per attivare l’articolo 7.1 – la disposizione che permette al Consiglio di riconoscere una violazione grave e persistente dei princìpi fondanti dell’Unione – è di quattro quinti, cioè 22 Paesi su 27. Certo, per le sanzioni vere e proprie (soprattutto la cosiddetta “opzione nucleare“, che prevede la sospensione dei diritti di voto al Consiglio) serve l’unanimità, difficile da raggiungere soprattutto finché ci saranno altri leader, come lo slovacco Robert Fico, altrettanto intenti nella demolizione delle strutture democratiche. Ma è un inizio.
A parole, pure l’esecutivo comunitario si dice “pronto” a prendere le contromisure necessarie. Il commissario alla Democrazia, Michael McGrath, ha ribadito che le ultime norme approvate in Ungheria minano sia i diritti fondamentali sia lo spazio civico nel Paese, il quale peraltro non sta rispettando le raccomandazioni sullo Stato di diritto di Bruxelles, pubblicate la scorsa estate. “L’imperativo della protezione dei minori e il diritto di riunirsi pacificamente non sono in conflitto”, ha messo in chiaro rivolgendosi agli eurodeputati, cui ha assicurato che “la Commissione non esiterà a intraprendere ulteriori azioni per garantire il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali in Ungheria e in qualsiasi altro Stato membro”.