La settimana scorsa la Germania ha lanciato un ingente pacchetto di stimolo di bilancio per rilanciare la sua economia stagnante, che include l’allentamento del freno costituzionale al debito e un piano di investimenti pubblici per un ammontare complessivo di circa mille miliardi di euro.
Al netto dei facili entusiasmi di alcuni osservatori riguardante un conseguente possibile cambio repentino di paradigma fiscale su scala comunitaria, la netta virata nell’orientamento fiscale da parte della principale economia dell’Eurozona verso politiche di bilancio espansive potrebbe beneficiare indirettamente il resto dell’area-euro. Questo potrebbe avvenire tramite un effetto spillover che attenuerebbe gli squilibri macroeconomici, il che però dipenderà dall’effettiva portata dello stimolo “defibrillatore” sull’attività economica tedesca che eventualmente riuscirà a garantire il pacchetto fiscale, se quindi la manovra sarà congiunturale o strutturale, oltre che dalla capacità dei partner commerciali periferici, tra cui l’Italia, di incrementare la propria competitività, quindi il volume delle esportazioni, legata però in larga parte alla possibilità di stimolare la produttività tramite adeguati investimenti pubblici, dato il livello dei salari già estremamente basso
La settimana scorsa il governo tedesco ha ratificato un consistente piano di rilancio dell’economia che prevede l’emendamento della Costituzione, ovvero l’allentamento del freno costituzionale al debito che imponeva di contenere il deficit per mantenere il pareggio di bilancio, con relativa concessione agli stati federati (Länder) di poter realizzare uscite in termini di spesa pubblica fino a un tetto massimo di disavanzo pari allo 0,35% del Pil su base annuale. Un margine di flessibilità, seppur limitato, che prima era a discrezione unicamente del governo federale, d’ora in poi accordato anche a livello regionale.
Inoltre, il piano include investimenti per un ammontare di 500 miliardi di euro, spalmati cumulativamente nei prossimi dodici anni, in infrastrutture, transizione ecologica e modernizzazione del capitale produttivo. Il pacchetto di stimolo di bilancio tedesco si può quantificare in circa mille miliardi di euro complessivi. Si tratta di una svolta nel campo della politica fiscale in netto contrasto con il dogma tradizionale, fino ad adesso mai contestato nel Paese teutonico, del rigore e della parsimonia di bilancio. Questa decisa virata nell’orientamento di bilancio in Germania era, tuttavia, quasi inevitabile e viene acclamata dalla maggior parte degli osservatori, vista la pessima performance dell’economia tedesca che si protrae almeno dallo scoppio della pandemia, controparte di quella invece ottima di Paesi come Spagna, Italia, Grecia e Cipro, alcuni dei quali hanno registrato, come si evince dalla Figura riportata di seguito, i cali maggiori del loro debito pubblico, da quando l’euro è stato introdotto, proprio a partire dal 2020, non a caso durante il periodo in cui il Patto di stabilità e crescita (Psc) è stato sospeso per consentire ai governi di sostenere l’attività economica durante l’emergenza pandemica.
A tal proposito, potremmo riferirci alla crisi Covid, con Patto di stabilità sospeso, come un esperimento naturale per confrontare le diverse politiche di bilancio nazionali, e, a parità di condizioni, ovvero senza vincoli di bilancio, il modello frugale tedesco del freno al debito si è dimostrato meno efficace rispetto agli stimoli anticiclici senza vincoli domestici autoimposti implementati dai Paesi periferici.
Anche se questo cambio di paradigma da parte della principale economia dell’Eurozona non dovesse tradursi in una flessibilizzazione subitanea su larga scala delle regole di bilancio europee, il vasto pacchetto di stimolo di bilancio lanciato dal cancelliere in pectore Friedrich Merz potrebbe indirettamente influenzare l’economia degli altri Stati membri tramite un’attenuazione degli squilibri macroeconomici, ovvero della discrepanza tra gli avanzi commerciali accumulati dalla Germania e da altri Paesi frugali che hanno orientato il loro modello di crescita verso le esportazioni e, dall’altro lato, i disavanzi delle partite correnti e della bilancia dei pagamenti registrati dai loro partner commerciali della periferia dell’Eurozona, che applicano minore rigore di bilancio.
Tuttavia, questo effetto benefico dipenderà da due fattori, ovvero, da un lato, se il pacchetto fiscale espansivo garantirà effettivamente l’auspicato effetto “defibrillatore” sull’attività economica tedesca, stagnante dal 2019, in particolare su domanda interna e produttività. Anche considerato che il suddetto pacchetto tedesco introduce una flessibilità relativamente limitata e, inoltre, gli investimenti pubblici previsti dal piano saranno dilazionati in dodici anni, un periodo lungo durante il quale potrebbero avvenire shock esogeni imprevisti, dato il protrarsi della volatilità dell’attuale scenario internazionale che potrebbe portare l’orientamento di politica monetaria a subire delle risultanti variazioni, rilevanti per la crescita soprattutto nel caso di inasprimento monetario, ovvero in circostanze di eventuali rialzi dei tassi e/o tagli dell’offerta di moneta al sistema finanziario (quantitative tightening).
Alla luce di ciò, bisognerà valutare se il cambio di orientamento di bilancio in Germania sarà solo congiunturale o strutturale. L’altro fattore dal quale dipenderà l’eventuale effetto spillover positivo sulle altre economie dell’area-euro risultante dall’adozione di politiche di bilancio espansive in Germania riguarda la capacità di Paesi quali Italia, Grecia, Portogallo e Spagna di incrementare la propria competitività, quindi il loro volume delle esportazioni. Quest’ultimo obiettivo può essere perseguito tramite il taglio dei costi del lavoro per unità di prodotto (unit labour costs), che è possibile ottenere o tramite la compressione dei salari, ma più in basso di così è difficile andare, visto che in Italia gli stipendi non crescono da trent’anni e hanno subìto l’erosione più consistente in termini reali, ovvero tenendo conto dell’inflazione, tra i Paesi avanzati dal 2008, ma soprattutto tramite un incremento della produttività, che in larga parte dipende dagli investimenti pubblici produttivi.
Tuttavia, dubito, ma spero di sbagliarmi, che i tedeschi consentiranno, almeno nell’immediato, ampie deroghe dai vincoli di bilancio del Psc per altri investimenti oltre alle spese per la difesa, considerando che la simultanea implementazione di politiche di bilancio con lo stesso orientamento, sicuramente nel caso di quelle di consolidamento/restrittive come avvenuto durante la crisi dell’euro, ma sarebbe interessante valutare la questione nel caso di politiche espansive come in questo frangente, può creare problemi di fallacy of composition/coordinamento in un’Unione monetaria. Da ciò deriva che l’efficacia delle politiche messe in campo da uno Stato membro si riduce se la stessa strategia viene seguita da tutte le altre autorità di bilancio dell’Unione.
Quindi, in ultima istanza, dipende dall’eventuale introduzione di una regola d’oro per gli investimenti nel quadro normativo del Psc che cessi di “tenere legate le mani” dei governi dell’Eurozona per l’implementazione di investimenti con ritorni in termini di produttività, quali ricerca e sviluppo, istruzione e sanità, invocata da molti, me compreso, da quando si discuteva delle possibili proposte di riforma della governance dell’area-euro ai tempi del Covid, l’eventuale effetto a catena vantaggioso per l’intera zona euro potenzialmente attivato dal cambio di orientamento fiscale in Germania. Altrimenti, questo rischia di rivelarsi l’ennesimo gioco europeo a somma zero.