Bruxelles – Con la proposta di regolamento sui rimpatri, la Commissione europea ha indicato una via d’uscita al vicolo cieco in cui si è infilato il governo italiano con il fallimentare protocollo sui centri per le persone migranti in Albania. L’ha annunciato lo stesso ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi: ora l’Italia cercherà di convertire tali centri, pensati per trattare le richieste d’asilo delle persone migranti intercettate in acque internazionali, in un primo esempio europeo di return hubs, i controversi centri per i rimpatri al di fuori del territorio Ue. Il campo largo formato da Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra lancia l’allarme dal Parlamento europeo di Bruxelles, smascherando un tentativo di salvare la faccia “inaccettabile e vergognoso”.
All’Eurocamera è stato presentato oggi (25 marzo) il rapporto stilato dal Tavolo Asilo e Immigrazione, la coalizione di organizzazione della società civile che ha svolto un monitoraggio costante dell’esperimento di Meloni in Albania, dagli screening in mare ai brevissimi soggiorni nei centri di Shengjin e di Gjader. Un rapporto che mette in luce le violazioni “numerose e sistematiche” del modello: una valutazione delle vulnerabilità delle persone migranti “assolutamente inadeguata”, un’applicazione “generalizzata” delle procedure accelerate di frontiera, un trattenimento prolungato fin dalla “selezione” in mare, e l’impossibilità per le persone di esercitare il diritto alla difesa in condizioni adeguate.
Il coordinatore del Tavolo e responsabile nazionale dell’Arci per l’immigrazione, Filippo Miraglia, parte dal presupposto che “il fatto che il ministro dell’Interno voglia convertire i centri in CPR” decreta automaticamente “il fallimento di quel protocollo”. Ma ha contribuito a irrigidire ulteriormente la narrativa securitaria in Europa e ad ampliare il ventaglio delle soluzioni possibili per contrastare l’arrivo di persone migranti. La stessa presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, aveva dato il suo endorsement al progetto. Ma di fronte agli stop imposti dai magistrati italiani, “a un certo punto in Europa hanno smesso di nominare il modello Albania perché è diventato chiaro a tutti quanto questo sia un fallimento da ogni punto di vista”, ha attaccato l’eurodeputata dem, Cecilia Strada.
Nel frattempo però, Bruxelles ha aperto alla possibilità di trasferire le persone migranti a cui vengono rifiutate le richieste d’asilo in strutture in Paesi terzi, in attesa dell’effettivo rimpatrio nei Paesi d’origine. Nella proposta di regolamento sui rimpatri presentata l’11 marzo, la Commissione europea parla esplicitamente dei return hubs, lasciando poi che il funzionamento di tali centri venga definito dagli accordi bilaterali tra i Paesi membri e i Paesi terzi in questione. La proposta è solo nella sua fase iniziale, ed è passata ora in mano ai colegislatori, il Consiglio dell’Ue e il Parlamento europeo, come prevede il processo legislativo Ue.
Ma il Tavolo Asilo e Immigrazione ha già le idee chiare: la possibile trasformazione dei centri albanesi in return hub “non rappresenta un’opzione accettabile”, perché significherebbe introdurre “nuove violazioni eclatanti dei diritti fondamentali, rafforzando ulteriormente un sistema di detenzione arbitraria e ingiustificata”. Per chi ha svolto il monitoraggio indipendente nei centri, “lo smantellamento delle strutture è l’unica prospettiva possibile“.
Oltre a Strada, alla presentazione del rapporto erano presenti Leoluca Orlando, eurodeputato di Avs, e Pasquale Tridico, capodelegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo. Quest’ultimo ha definito il protocollo Italia-Albania un “obbrobrio giuridico” e un “disastro economico”, su cui Giorgia Meloni ha investito circa 650 milioni di euro di risorse pubbliche. Tridico ha sottolineato la “preoccupante” posizione della Commissione europea, che “è stata ammiccante nei confronti di Meloni” nell’arco di tutta la vicenda. L’ex sindaco di Palermo ha ricordato che siamo di fronte a “un fallimento sul versante delle garanzie di diritti”. Secondo Orlando, la proposta della Commissione europea sui return hubs “è volutamente ambigua, non definisce i contorni” e “finisce quindi per delegare ai sovranismi la scelta dei particolari” di tali centri.