Bruxelles – L’Ue ha individuato i primi 47 progetti strategici per accelerare nella corsa globale per l’approvvigionamento di terre rare. L’obiettivo è quello fissato dal Critical Raw Material Act: entro il 2030, l’estrazione, la lavorazione e il riciclaggio delle materie prime critiche in Europa dovrà soddisfare rispettivamente il 10, il 40 e il 25 per cento della domanda dell’Ue. Nell’elenco adottato oggi (25 marzo) dalla Commissione europea, figurano anche 4 progetti italiani.
“Non ci sono abbastanza miniere in Europa. Dobbiamo aprirne di più”, ha detto chiaramente il vicepresidente esecutivo della Commissione europea con delega all’Industria, Stéphane Séjourné. E in effetti, più della metà dei progetti (25) riguardano attività di estrazione. Soprattutto nella penisola iberica, ricca di litio, rame, tungsteno. Nei 47 dell’elenco, 24 progetti comprendono attività di lavorazione, 10 di riciclaggio e 2 di sostituzione di materie prime. I quattro italiani riguardano tutti attività di riciclaggio.
I progetti riguardano quasi tutte – 14 su 17 – le materie prime critiche indicate lo scorso anno dalla Commissione europea. Più di tutti, saranno interessati il litio (22 progetti), il nichel (12), la grafite (11), il cobalto (10) e il manganese (7), di modo da rafforzare soprattutto la catena del valore delle materie prime per le batterie dell’Ue. I progetti su magnesio e tungsteno vanno visti nell’ottica del nuovo impulso sull’industria della difesa, che si basa sull’uso di questi materiali.

“Lo dico chiaramente: non vogliamo sostituire la nostra dipendenza dai combustibili fossili con una dipendenza dalle materie prime. Il litio cinese non sarà il gas russo di domani“, ha promesso Séjourné. A Bruxelles sono pervenute 170 candidature, di cui 49 da progetti in Paesi extra-Ue, precisano fonti della Commissione europea. Quelli selezionati rispondono a quattro criteri: contribuiscono alla sicurezza dell’approvvigionamento dell’Ue, rispettano i criteri ambientali, sociali e di governance e sono tecnicamente fattibili. Mentre i progetti nei Paesi membri dovevano essere in grado di dimostrare “chiari vantaggi transfrontalieri”, per quelli extra-Ue valeva il principio di dover “portare valore” sia nel Paese che ospita il progetto che per l’Ue.
Secondo la Commissione europea, perché i 47 progetti strategici siano operativi c’è bisogno di un investimento complessivo di 22,5 miliardi di euro. Séjourné ha parlato di 2 miliardi di euro messi a disposizione dalla Banca Europea degli Investimenti per il 2025. Una fonte ha spiegato che in realtà l’esecutivo Ue si augura che la maggior parte dei progetti si reggano sulle proprie gambe e reperiscano finanziamenti sui mercati, ma se necessario potranno beneficiare di “prestiti, o partecipazioni azionarie, o garanzie sui prestiti” da parte di Bruxelles e degli Stati membri. Non sovvenzioni, in ogni caso. Beneficeranno inoltre di disposizioni semplificate in materia di autorizzazioni, per “garantire la prevedibilità ai promotori dei progetti, salvaguardando al contempo gli standard ambientali, sociali e di governance”.
Il vicepresidente esecutivo Ue ha inoltre annunciato che entro la fine del 2026 Bruxelles lancerà un centro comune d’acquisto sulle materie prime, per poter fare acquisti congiunti e a 27 “un po’ sul modello che abbiamo usato per i vaccini ai tempi del Covid”. Secondo Séjourné, sulle materie prime critiche “bisogna riconoscere che l’Europa è in vantaggio rispetto a Cina e Stati Uniti”, perché si è già dotata di una base legale ed una strategia, ed è quindi ora in grado di cambiare marcia. Anche grazie alla rete di accordi bilaterali – già 14 – sulle materie prime critiche con partner in tutto il mondo.