Kaja Kallas, l’ex prima ministra estone diventata alta rappresentante dell’Unione europea per la Politica estera e di sicurezza, sembra aver già chiuso il suo ciclo, a quattro mesi appena dalla nomina. La sua ultima uscita su un nuovo fondo di 40 miliardi per l’Ucraina, poi ridotto a 5 e poi ancora ridotto a zero sembra essere stata la pietra tombale sul suo lavoro qui a Bruxelles.
Errori ne ha fatti sin dall’inizio, a quanto pare non ha ascoltato i funzionari più esperti del Servizio esterno di cui lei è capo su come si fa quel mestiere, ed anzi, ne ha allontanati parecchi; si è fatta da subito scippare di fatto competenze dalla Commissione; non ha saputo creare uno staff all’altezza del complicato ruolo che deve svolgere. “Si comporta come se fosse ancora il primo ministro estone, le viene un’idea e la propone agli Stati, senza passare dalla casella principale della politica dell’Unione, che è la ricerca del consenso”, ci ha spiegato un alto funzionario, che da anni lavora “nel settore”. E il consenso non lo trova.
E’ un peccato, una casella decisamente importante delle istituzioni europee di fatto è vuota. Anche se c’è ancora tempo per imparare, e per crearsi una credibilità.
Forse sarebbe più corretto dire che “ci sarebbe tempo” se dall’altra parte della strada non lavorasse una persona come Ursula von der Leyen, che della politica europea ha invece capito tutto e che l’ha arricchita di qualcosa che mancava: l’accentramento. Già durante il suo primo mandato le accuse di voler controllare ed indirizzare il lavoro di ogni commissario erano state tante, corredate dalla sua scelta di circondarsi di un ristretto “cerchio magico” di fedelissimi, che tutto decidevano ed erano, per molti, irraggiungibili.
Nel formare la sua seconda Commissione von der Leyen ha fatto il capolavoro: praticamente nessuno dei suoi 26 colleghi ha una statura politica comparabile alle sua, sono quasi tutti personaggi di secondo piano, sconosciuti ai più, dai curricola mediocri. Lei dunque svetta ed accentra a più non posso, ed in particolare in politica estera. Ha nominato un commissario per la Difesa, che sarebbe una competenza di Kallas, senza che nessuno alzasse un dito, ha creato una Direzione generale per il Mediterraneo che spazia fino al Golfo Persico (a capo della quale ha messo uno dei migliori esperti di Politica estera dell’Unione, Stefano Sannino) e che, chiaramente, non si occuperà solo di problemi di pesca o di sviluppo dei rapporti con il Marocco. Poi Kallas ci mette del suo (e von der Leyen sapeva benissimo di che pasta era fatta ben prima della nomina a Bruxelles), ed il gioco è fatto.
In realtà ci sarebbe anche Antonio Costa, il presidente del Consiglio europeo, che qualche voce in capitolo potrebbe averla. Ma il navigato politico portoghese non sembra voler entrare in competizione con la tedesca. Per ora sembra studiare situazione e possibilità, non ha fatto errori ma non ha ancora fatto sentire un suo peso specifico.
Insomma, von der Leyen ha praticamente già creato una sorta di “gabinetto di guerra”, massimizzando il controllo sull’esecutivo e accentrando una quantità di poteri, spezzettando quelli degli altri. Se le cose con la Russia dovessero andar male, a Bruxelles la linea di comando per l’emergenza è chiara: c’è solo una donna al comando..