Bruxelles – Orban-Ue, lo scontro ormai di lunga data prosegue. Il governo ungherese di Viktor Orban continua a tenere vivo il programma di permessi di lavoro agevolati che consente a cittadini russi e bielorussi di mettere piede su suolo dell’Unione europea, per il nuovo disappunto della Commissione europea. E’ Magnus Brunner, commissario per gli Affari interni e la migrazione, a ribadire che questa Ungheria è un problema. “Il fatto che l’Ungheria abbia messo in atto un programma agevolato per ammettere cittadini russi e bielorussi a scopo di lavoro, senza considerare le preoccupazioni di sicurezza degli altri Stati Schengen, solleva preoccupazioni“. Questa politica “aumenta i rischi comuni e mina la fiducia reciproca“.
Quelle di Brunner non sono esternazioni, ma dichiarazioni frutto di un’interrogazione parlamentare in materia che dimostra, una volta di più, inquietudini di più di una sola istituzione comunitaria. Il commissario non fa che rispondere, e lo fa senza usare toni diplomatici. Pur ricordando che per l’ammissione di lavoratori extra-comunitari “gli Stati membri mantengono il diritto di applicare le norme nazionali se queste non sono state armonizzate a livello Ue”, viene tuttavia sottolineato che “tali norme nazionali non possono mettere a repentaglio la sicurezza e il buon funzionamento di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne”.
Con la guerra russa in Ucraina che continua e con il rischio di spionaggio in un momento di relazioni non buone con Mosca, la facilità di spostamento di cittadini di Paesi considerati ostili è considerato come contrario alla politica seguita sin qui, fatta di sanzioni e restrizioni. Per questo, prosegue, Brunner, “la Commissione mantiene la sua profonda preoccupazione per i regimi nazionali che coprono i cittadini russi e bielorussi”, come il quadro ungherese, su cui però Budapest non ha mai fatto marcia indietro.
Da luglio 2024 l’Ungheria ha esteso ai cittadini di Russia e Bielorussia il programma ‘Carta Nazionale’, che consente di lavorare nel Paese per un massimo di due anni. Una scelta oggetto della reprimenda della prima Commissione von der Leyen, con spiegazioni richieste – e mai fornite – dalla predecessora di Brunner, la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson. Un braccio di ferro che continua ancora oggi.