Bruxelles – Autonomia strategica è un concetto di cui nelle istituzioni europee si parla con sempre maggiore urgenza e insistenza. Il mondo è cambiato velocemente e, come ha spiegato a Eunews il consigliere del Comitato Economico e Sociale Europeo Pietro De Lotto, l’Europa aveva accumulato 20 anni di ritardi. Ora molto si sta muovendo, ma mancano ancora alcuni tasselli fondamentali, a partire dall’unione dei mercati dei capitali.
Eunews: Consigliere De Lotto, come siamo arrivati a parlare di autonomia strategica?
Pietro De Lotto: È un concetto che è stato lanciato pochi anni fa, ma che nel tempo ha subito parecchie modifiche. Inizialmente a livello europeo parlavamo di “Open strategic autonomy”. Negli ultimi 25 anni l’Europa ha avuto una posizione di totale apertura nel mercato mondiale. Abbiamo probabilmente avuto un eccesso di fiducia rispetto alle potenzialità di una concorrenza aperta: a partire dal 2002 (primo anno della Cina come membro del WTO, ndr) abbiamo iniziato a delegare ad altri alcune fondamentali attività, a partire da quella produttiva, confidando di poter mantenere esclusivamente la finanziarizzazione dell’economia. Nello stesso periodo abbiamo delegato il nostro approvvigionamento energetico a un altro partner, la Russia. Abbiamo infine totalmente confidato nei tradizionali rapporti transatlantici per quanto riguardava la difesa. A questo va aggiunto che non abbiamo salvaguardato e promosso un mercato del capitale interno. Da qui nasce l’esigenza di riconsiderare non le nostre interdipendenze, ma la nostra dipendenza, che era diventata molto forte. In questi 20 anni i ritardi accumulati sono stati grandi.
E: Crede che siamo riusciti a riequilibrare la situazione?
P.D.L.: Con fatica siamo riusciti a farlo, sì. E questo nonostante il fatto che non abbiamo realizzato il mercato interno dell’energia, non abbiamo costituito l’unione bancaria e dei capitali, né abbiamo rafforzato in alcuni settori strategici una nostra via, una “via europea”. Parlo dei sistemi di telecomunicazioni, delle filiere legate all’industria della difesa e alle materie prime critiche. La nuova situazione geopolitica ha fatto sì che la posizione che avevamo costruito, un agglomerato di interessi differenti, non fosse più sopportabile.
E: Cosa evidenzierebbe del piano ReArm Eu?
P.D.L: Credo che l’aspetto dirompente siano state le parole di ieri (19 marzo) di Ursula von der Leyen, che ha affermato che non prevede che i fondi del piano ReArm siano utilizzati per acquisti fuori Europa, dove attualmente spendiamo, a seconda delle stime, tra il 60 e l’80% delle nostre risorse. Si tratta di qualcosa di davvero importante.
E: Qual è la sfida più difficile che l’Europa si trova ad affrontare?
P.D.L.: L’ambito più complicato è quello delle materie prime critiche, perché non ne siamo produttori. Qui è fondamentale la diversificazione degli approvvigionamenti. Non viene quasi mai ricordato per esempio che l’Ue siglò prima della guerra un accordo di sfruttamento congiunto con l’Ucraina. Tuttavia ritengo doveroso, anche se forse eterodosso, tornare sul mercato dei capitali. L’Europa ha un’enorme produzione di risparmio e un’enorme capacità di mobilizzarlo, ma senza un’unione bancaria e dei capitali rischiamo di avvantaggiare i nostri competitor. La necessità di autonomia strategica, che ormai non è più “open”, passa anche da qui.