Bruxelles – Oltre 500 vittime palestinesi in 48 ore e Israele che da tre settimane impedisce l’ingresso di aiuti umanitari, acqua e cibo. La tregua a Gaza è ormai un ricordo lontano. Mentre Tel Aviv espande anche le operazioni via terra e il ministro della Difesa Israel Katz minaccia la popolazione di punizione collettiva, nelle principali città israeliane monta la rabbia contro la ripresa delle ostilità “per motivi politici”. Da Bruxelles, i capi di stato e di governo dell’Ue perdono un’altra occasione per alzare la voce a supporto del diritto internazionale.
Nella capitale Ue è in corso il Consiglio europeo. Pensato in origine per avanzare sul tema della competitività, ha abbracciato giocoforza gli ultimi sviluppi su difesa, Ucraina e Medio Oriente. Ma tra i leader, gli unici a insistere sulla gravità della nuova offensiva israeliana sono stati i primi ministri di Spagna e Irlanda. Gli stessi che, già più di un anno fa, avevano chiesto alla Commissione europea di valutare una revisione dell’accordo di associazione con Tel Aviv. Pedro Sanchez ha accusato apertamente Israele di “calpestare di nuovo” il diritto internazionale umanitario a Gaza, mentre Micheál Martin ha sottolineato che i raid cominciati martedì in diverse zone della Striscia sono stati lanciati “senza alcun preavviso” alla popolazione, in “quello che sembra essere un bombardamento indiscriminato di case e famiglie palestinesi”.
Il liberale irlandese ha definito “sconvolgente” il videomessaggio diffuso dal ministro per la Difesa di Israele, Israel Katz, in cui si rivolge “ai residenti di Gaza” minacciandoli di “pagare il prezzo pieno” della ripresa dei combattimenti. “Restituite gli ostaggi e rimuovete Hamas: l’alternativa è la devastazione totale”, ha intimato il ministro israeliano. Un messaggio che racchiude l’intenzione di criminalizzare e infliggere una punizione collettiva al popolo palestinese. Martin si è augurato che “l’Ue e gli Stati Uniti facciano più pressione possibile su Israele per fermare tutto questo”.

Niente di più lontano dalla posizione presa finora da Bruxelles, né tantomeno da Washington (che anzi ha confermato di aver dato il suo benestare alla ripresa delle ostilità). Nemmeno la presenza al vertice di un “rattristato e scioccato” Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, che ha ricordato che “il popolo palestinese ha già sofferto troppo“, ha convinto i 27 a condannare i raid israeliani che hanno decretato la fine della tregua dopo appena due mesi.
Anzi, se possibile i leader hanno fatto un passo indietro: nelle conclusioni approvate dal Consiglio europeo, è sparita la “condanna” ai “recenti attacchi aerei su Gaza, che hanno causato un gran numero di vittime civili”, presente nella bozza del documento fino alla sera del 18 marzo. Troppo divisiva, e per questo sostituita dalla più debole formula: “Il Consiglio europeo deplora la rottura del cessate il fuoco a Gaza, che ha causato un gran numero di vittime civili nei recenti attacchi aerei”. A cui è stata aggiunta la riprovazione per “il rifiuto di Hamas di consegnare gli ostaggi rimanenti”.
I 27 chiedono “che si ritorni immediatamente alla piena attuazione dell’accordo di cessate il fuoco” e “sottolineano la necessità di progredire verso la sua seconda fase”. Nel documento finale del vertice si chiede inoltre che venga “ripreso immediatamente” l’accesso “senza ostacoli dell’assistenza umanitaria su larga scala a Gaza, così come la fornitura di elettricità, anche per gli impianti di desalinizzazione dell’acqua”. Perché, come denunciato oggi dal commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, “le autorità israeliane continuano a impedire l’ingresso di qualsiasi aiuto umanitario e rifornimenti di base da ormai tre settimane“.
In un comunicato, la direttrice dell’Ufficio di Amnesty International presso le istituzioni europee, Eve Geddie, ha definito “vergognoso” il “tentativo dei leader dell’Ue di giustificare il genocidio e i crimini di guerra di Israele contro i palestinesi”. Secondo l’ong per la difesa dei diritti umani, il fatto che nelle conclusioni del vertice l’Ue “si rifiuti di nominare Israele, condannare gli attacchi aerei che spazzano via intere famiglie o condannare il blocco israeliano degli aiuti umanitari vitali”, non solo smentisce “il suo dichiarato impegno nei confronti del diritto internazionale, ma dimostra anche una compassione selettiva nei confronti delle vittime”.

Se a Bruxelles e Washington non si muove nulla, nelle principali città israeliane monta la rabbia per la ripresa delle ostilità. Migliaia di persone sono scese in piazza a Tel Aviv e Gerusalemme e nei prossimi giorni sono previste ulteriori proteste. L’immediato fattore scatenante è stato il tentativo di Netanyahu di licenziare il capo dello Shin Bet, l’agenzia di sicurezza interna, ma i manifestanti – guidati dalle famiglie degli ostaggi – accusano il governo di aver ripreso la guerra esclusivamente per motivi politici, mettendo a repentaglio la sopravvivenza degli ostaggi che sostiene di voler salvare ad ogni costo.