Bruxelles – Circa 107 mila persone per il Ministero dell’Interno, quasi mezzo milione per le ong. È la marea umana che ha invaso Belgrado sabato 15 marzo, per la più grande manifestazione in Serbia dai tempi della cacciata di Milošević. Forse la più grande di sempre. Dal tragico crollo della pensilina della stazione di Novi Sad, lo scorso novembre, le proteste contro la corruzione guidate dagli studenti sono aumentate di giorno in giorno. In questi quattro mesi, nella speranza di placare la rabbia dei manifestanti, il presidente Aleksandar Vučić ha fatto fuori il sindaco di Novi Sad, il ministro dei Trasporti e il premier Vučević. Ma il vero obiettivo degli studenti è la fine del suo regime.
In vista della manifestazione di sabato, l’autoritario presidente serbo aveva mostrato il guanto di ferro: “Non permetterò alla strada di stabilire le regole”, aveva dichiarato. Sospendendo i trasporti pubblici verso la capitale “per ragioni di sicurezza”, impedendo a giornalisti sloveni e croati di entrare nel Paese “per preservare la loro incolumità”, sguinzagliando le frange più estremiste degli affiliati al suo Partito progressista serbo (Sns), che in questi mesi si sono macchiati di diverse violenze nei confronti dei manifestanti. Il governo avrebbe perfino dato il via libera all’utilizzo di un ‘cannone sonico’, il LRAD (long-range acoustic device), per disperdere la folla durante i 15 minuti di silenzio che gli studenti osservano a tutte le manifestazioni in ricordo delle 15 vittime dell’incidente di Novi Sad.
Vučić respinge le accuse e promette “un’indagine in 48 ore”
“Giusto per essere chiari, il regime ha acceso un cannone sonico”, hanno accusato gli studenti, supportati da video della presunta attivazione del dispositivo, vietato in Serbia e in moltissimi altri Paesi a causa dei rischi di danni permanenti all’udito e alla salute di chi ne è colpito. Accuse rilanciate dai partiti di opposizione: Libertà e Giustizia (Ssp) ha sottolineato che “mai nella sua storia la Serbia è stata governata da un uomo così malvagio e senza scrupoli, pronto a usare armi proibite contro il suo popolo”, mentre il Partito Democratico (Ds) ha invitato tutti i cittadini coinvolti a sporgere denuncia “per determinare la responsabilità di coloro che hanno ordinato e compiuto questo attacco”.

Anche l’istituto di ricerca Belgrade Centre for Security Policy ha condannato “fermamente l’uso illegale e disumano di armi proibite”, una “palese dimostrazione di forza e un tentativo di incitare al caos, con l’obiettivo di delegittimare le proteste e criminalizzare i cittadini pacifici”. Gli analisti del BCSP chiedono che “vengano rese pubbliche informazioni sulle armi utilizzate, su chi ha dato l’ordine di impiegarle e su chi le ha eseguite”. Il presidente serbo ha respinto le accuse e contrattaccato: “Hanno avuto l’idea di inventare una storia su un cannone sonico”, ha dichiarato oggi, sostenendo che in realtà si trattava di un “normale fucile anti-drone”. Anzi, Vučić ha assicurato che “non c’è nessun cannone sonico nell’esercito serbo“.
Per il presidente si tratta di “un’altra bugia malvagia” per “distruggere la Serbia”. Vučić ha avvertito che “un’indagine sarà completata entro 48 ore e tutti i responsabili di tali brutali invenzioni e bugie saranno ritenuti responsabili e assicurati alla giustizia”. Va ricordato – come sottolineato dal Belgrade Centre for Security Policy – che nel 2022 il Ministero degli Interni serbo aveva presentato una legge, poi ritirata a seguito delle pressioni dell’opinione pubblica, per legalizzare i dispositivi acustici come strumenti di controllo. Attualmente, una nuova bozza di legge è in fase di elaborazione, “anche se non è stata resa nota la pubblico”, rivela il BCSP.
Da che parte sta l’Ue? Von der Leyen incontrerà Vučić
I cento mila – 300 mila per l’Archive of Public Gatherings, una Ong che conta le persone alle proteste -, si sono radunati nell’area tra il Parlamento nazionale e Piazza Slavija. Guidati, ancora una volta, dagli studenti e dagli agricoltori, che sono entrati a Belgrado alla guida dei propri trattori. In Piazza Slavija, gli studenti hanno affermato che “non permetteranno più ai funzionari di nessun partito di organizzare attacchi contro gli studenti“, riferendosi ai raid e agli agguati perpetrati da militanti del partito nazionalista al potere. Anche nella giornata di sabato, la tensione è rimasta alta a causa della presenza di sostenitori del regime, tra cui ex combattenti paramilitari, che si sono accampati in un parco fuori dal palazzo della presidenza.

Alla fine, il bilancio della manifestazione più grande nella storia del Paese è di 22 arresti e 56 feriti. Durante il suo svolgimento, la commissaria europea per l’Allargamento, Marta Kos, aveva ringraziato con un post su X “tutti coloro che hanno garantito la sicurezza” dei manifestanti. E indicando la necessità di “un accordo sulle riforme necessarie per il percorso della Serbia verso l’Unione Europea”. Guillaume Mercier, portavoce dell’esecutivo Ue, ha dichiarato che la Commissione europea “si aspetta un’indagine rapida, trasparente e credibile” da parte delle autorità serbe sull’utilizzo di arme proibite contro i manifestanti.
A Bruxelles fino ad ora sono rimasti molto cauti sul sostegno alle proteste. La Serbia è un Paese candidato all’adesione di lungo corso e Vučić, al potere dal 2012, è un interlocutore che promette stabilità. Isolare Belgrado rischierebbe di riorientarla verso posizioni – già latenti – filorusse o comunque decisamente anti-europeiste. Ma la Commissione europea non può temporeggiare a lungo, e forse qualcosa si muove: a quattro mesi dall’inizio delle proteste, la presidente Ursula von der Leyen incontrerà Vučić la prossima settimana, ha fatto sapere il servizio di comunicazione della leader Ue.