Bruxelles – Resta aperto il caso della presunta incompatibilità delle restrizioni italiane alla canapa industriale e al CBD con la legislazione Ue, ma la Commissione europea prende tempo. È in sostanza il risultato del confronto avvenuto oggi (17 marzo) tra gli eurodeputati della commissione Petizioni (Peti), la Direzione Generale Agricoltura dell’esecutivo Ue e il presidente di Canapa Sativa Italiana (CSI), Mattia Cusani, primo firmatario della petizione. La filiera italiana della canapa può sorridere a metà: la valutazione resta in corso, e nel frattempo l’Eurocamera invierà una lettera di reclamo a Roma.
La petizione, presentata da Cusani lo scorso settembre e firmata da diverse sigle nazionali ed europee tra cui Confagricoltura, Cia, Copagri, Cna Agroalimentare e l’Associazione europea della canapa industriale (Eiha), è stata accolta dal Parlamento europeo nel mese di febbraio e discussa oggi con urgenza, grazie al sostegno della maggioranza dei gruppi (Sinistra, Verdi, Socialisti e democratici, Renew e Popolari). Nella petizione, le associazioni agricole italiane hanno chiesto agli eurodeputati di “verificare la conformità delle normative italiane” al diritto dell’Unione e di “sollecitare l’intervento della Commissione europea”.
I provvedimenti in questione sono un emendamento al Ddl Sicurezza (ancora in esame in Senato dopo l’approvazione alla Camera), che vieterebbe la produzione e il commercio delle infiorescenze di canapa e derivati, anche con un contenuto di THC inferiore allo 0,2 per cento, e un decreto entrato in vigore lo scorso 5 agosto – sospeso un mese più tardi dal Tar del Lazio – con cui il governo ha equiparato le composizioni per uso orale di CBD alle sostanze stupefacenti, limitandone la vendita solo alle farmacie con prescrizione medica non ripetibile.
Nel suo intervento alla seduta della commissione Peti, Cusani ha evidenziato che tali norme “violano il principio della libera circolazione delle merci sancito dagli Articoli 34 e 36 del Trattato sul funzionamento dell’Ue” e “compromettono il principio di concorrenza leale previsto dall’Articolo 101”. Non solo, la stretta del governo Meloni sulla filiera della canapa industriale sarebbe anche incompatibile con la “consolidata giurisprudenza” della Corte di Giustizia europea: ultima in ordine tempo la sentenza Biohemp del 4 ottobre 2024, in cui il Tribunale Ue ha confermato che gli Stati membri non possono imporre restrizioni alla coltivazione della canapa industriale, compresa la coltivazione indoor e la coltivazione esclusivamente per la produzione di infiorescenze, a meno che tali restrizioni non siano suffragate da prove scientifiche concrete relative alla tutela della salute pubblica.
“I coraggiosi commercianti della canapa, che ogni giorno rispettano le regole e garantiscono un mercato trasparente e sicuro, non devono temere lo Stato, ma riceverne il sostegno. Colpirli con un divieto insensato significa tradire la fiducia di migliaia di lavoratori onesti”, ha affermato il giurista e presidente di Canapa Sativa Italia. A rischiare la chiusura sono oltre 2 mila aziende agricole e commerciali, giovani piccole e medie imprese che generano circa 20 mila posti di lavoro. Non solo i piccoli rivenditori di CBD, ma anche filiere agroindustriali di eccellenza come la cosmesi, il florovivaismo, gli integratori alimentari, l’erboristeria.
Oliver Sitar, capo unità alla Direzione Generale dell’agricoltura e dello sviluppo rurale della Commissione europea, ha sottolineato l’importanza della canapa “per l’edilizia, il tessile, la carta”. Ma sull’utilizzo del CBD – canapa sativa L con basso contenuto di THC che non produce effetti psicotropi – è rimasto piuttosto vago: la chiave, secondo Sitar, è il possibile ricorso a motivi di salute pubblica, che è di competenza degli Stati membri, per regolamentare il CBD in eccezione alle regole del mercato unico. “La valutazione è ancora in corso”, ha tagliato corto il funzionario Ue, sottolineando inoltre che entrambi i provvedimenti non sono in questo momento in vigore, e che dunque la Commissione europea non può attualmente avviare indagini formali. Ancora, sul cannabidiolo per uso orale, Sitar ha ricordato che l’Autorità europea per la Sicurezza alimentare (Efsa) non l’ha ancora inserito nel regime dei novel food perché “la scienza non è unanime”. Il punto però è che il provvedimento italiano equipara il CBD a sostanze psicotrope come le benzodiazepine.
Insomma, Bruxelles non si sbilancia e per ora sceglie di non fare la voce grossa contro il governo italiano. Ma non basta a ridimensionare l’impeto degli eurodeputati, con le italiane Cristina Guarda (Avs) e Valentina Palmisano (M5S) in prima linea. La maggioranza dei presenti (Verdi, Sinistra e liberali – vista l’assenza in aula di popolari, socialisti, conservatori di Ecr e sovranisti di Esn) ha deciso di mantenere la petizione aperta, e approvato l’invio di una lettera di reclamo alle autorità italiane. “Siamo lieti di annunciare questo importante passo avanti in sede Ue, in contrasto alle iniziative ideologiche e oscurantiste della destra che governa il nostro Paese e che ora dovrà rispondere in sede europea”, ha dichiarato Guarda. Secondo Palmisano, quelle italiane sono “norme ingiuste e irragionevoli”, che “ignorano la giurisprudenza europea”. Una scelta “miope, che ignora il potenziale di questa filiera in termini economici, ambientali e occupazionali”.
Confagricoltura si è detta “felice del dibattito in sede europea”, sottolineando l’importanza che l’Eurocamera “chieda chiarificazione al governo italiano”. Dal giorno in cui riceverà la lettera, Roma avrà 90 giorni di tempo per rispondere ai rilievi della commissione Peti. Potrà decidere di ignorare il reclamo – non è prevista alcuna conseguenza – ma la decisione di mantenere aperta la petizione testimonia l’impegno del Parlamento europeo a non rendere la vita facile al governo Meloni. In attesa di una valutazione finale della Commissione europea.