Bruxelles – Călin Georgescu, dalle stelle alle stalle in cento giorni. Dopo aver assaporato la vittoria alle elezioni presidenziali in Romania lo scorso 24 novembre, il candidato ultra-nazionalista e filorusso si è visto prima contestare il risultato delle urne, annullato dalla Corte costituzionale a causa di interferenze di Mosca nel processo elettorale, ed ora è stato estromesso dalle nuove elezioni previste il prossimo 4 maggio. Nella giornata di ieri (9 marzo) la commissione elettorale rumena ha confermato di averne respinto la candidatura.
Un’altra porta chiusa per Georgescu, a cui solo pochi giorni fa la Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu) aveva respinto il ricorso per l’annullamento delle elezioni di novembre. La sua nuova candidatura – sostenuta dall’estrema destra di Alleanza per l’Unione dei rumeni (Aur) – è stata respinta dalla commissione elettorale di Bucarest con 10 voti a favore e 4 contrari. La stessa autorità elettorale (Bec) ha chiarito che alla base dell’esclusione di Georgescu dalla corsa alla presidenza c’è proprio la precedente decisione della Corte Costituzionale: “È inammissibile che, quando si ripetono le elezioni, si consideri che la stessa persona soddisfi le condizioni necessarie per accedere alla presidenza”, ha spiegato il Bec.

Ora Georgescu ha 24 ore di tempo per presentare un reclamo che la Corte Costituzionale avrebbe altre 48 ore per valutare: la saga potrebbe quindi chiudersi definitivamente la sera di mercoledì 12 marzo. Intanto il 62enne, che secondo diversi sondaggi godrebbe di un sostegno superiore al 40 per cento nel Paese, ha immediatamente gettato benzina sul fuoco: “Un colpo diretto al cuore della democrazia mondiale! – ha reagito con un post su X – L’Europa ora è una dittatura, la Romania è sotto la tirannia!”. Già ieri sera, diverse centinaia di sostenitori dell’estrema destra inferociti hanno cercato di prendere d’assalto l’ufficio elettorale di Bucarest, dispersi dalle forze dell’ordine con raffiche di gas lacrimogeni.
A difesa di Georgescu si è immediatamente schierato anche George Simion, leader dell’Aur e vicepresidente del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (guidato fino a pochi mesi fa da Giorgia Meloni). Simion ha accusato la Romania di essere “uno stato di polizia totalitario”, definendo la decisione dell’autorità elettorale “una chiara continuazione del colpo di stato” iniziato con l’annullamento dell’esito delle elezioni di novembre. In precedenza Simion aveva fatto sapere che, se Georgescu fosse stato escluso, si sarebbe candidato al suo posto. Simion potrebbe contare sul sostegno dei tre partiti di estrema destra – il suo Aur, Sos Romania e il Partito della Gioventù – che alle elezioni per il rinnovo del Parlamento vinte dai socialdemocratici a inizio dicembre hanno totalizzato il 31 per cento dei voti.
Le accuse di golpe, anzi di “euro-golpe in stile sovietico“, sono state rilanciate anche dal vicepremier italiano Matteo Salvini. Il leader del Carroccio ha espresso con un post su X la sua vicinanza “ai tanti cittadini rumeni che, in patria e in Italia, sono derubati del loro diritto di voto da un furto di democrazia gravissimo”. Le parole scelte da Salvini alludono al coinvolgimento di Bruxelles (che ha aperto un’indagine su TikTok per valutare l’eccessiva esposizione dei contenuti di Georgescu durante la campagna elettorale) nella vicenda, in linea con l’aggressiva narrativa della nuova amministrazione americana: il vicepresidente degli Stati Uniti, JD Vance, aveva denunciato l’annullamento delle elezioni dello scorso anno come un’indicazione della regressione della democrazia in Europa, accusando le autorità rumene di essersi piegate a informazioni “fragili” e a presunte pressioni da parte di altre capitali europee.