Bruxelles – Il terremoto politico sprigionato da Donald Trump ha impattato anche la Germania. Le scosse telluriche si sono propagate dall’epicentro di Washington attraverso l’oceano e, dopo aver sconquassato Bruxelles, stanno facendo traballare le fondamenta stesse del modello economico tedesco come l’abbiamo conosciuto in questi anni.
Il prossimo cancelliere, Friedrich Merz, e i suoi futuri partner socialdemocratici hanno messo una pietra tombale sull’ortodossia del pareggio di bilancio e sul freno del debito, che proprio loro avevano inserito in Costituzione 16 anni fa. Ma quella di Cdu ed Spd è una corsa contro il tempo lastricata di incognite.
Il riarmo in Europa e in Germania
L’effetto farfalla del Trump bis sta già provocando sconvolgimenti epocali nel Vecchio continente. Nella giornata di ieri (4 marzo), due maxi piani di investimenti sono stati annunciati in altrettante capitali.
A Bruxelles, la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha svelato la sua roadmap sul riarmo dei Ventisette, che secondo i suoi calcoli dovrebbe valere qualcosa come 800 miliardi di euro in quattro anni, per far fronte all’eventualità di un ritiro statunitense dall’Europa. E ha confermato l’attivazione della clausola di salvaguardia del Patto di stabilità e crescita (Psc) per gli investimenti degli Stati membri in difesa, permettendo ai governi di indebitarsi senza rischiare procedure d’infrazione.

In serata, qualcosa di altrettanto inusitato è accaduto anche a Berlino. Dopo una sessione di colloqui esplorativi per la formazione del prossimo esecutivo tedesco – una “grande coalizione” tra i cristiano-democratici dell’Union (Cdu/Csu) e i socialdemocratici dell’Spd, l’unico esito possibile dati i risultati delle elezioni del mese scorso – il futuro Bundeskanzler Friedrich Merz ha segnalato l’intenzione di raccogliere sui mercati centinaia di miliardi per potenziare il settore della difesa e investire nelle infrastrutture e nell’industria tedesche per rilanciare l’economia.
La fine del freno del debito
Parlando alla stampa accanto a Markus Söder (il capo della Csu bavarese) e ai co-leader socialdemocratici, Lars Klingbeil e Saskia Esken, il segretario della Cdu ha annunciato che verrà presentata al Bundestag una mozione per modificare il freno del debito, un meccanismo costituzionale che impedisce ai governi tedeschi di indebitarsi oltre allo 0,35 per cento del Pil e che impone di fatto la disciplina ferrea del pareggio di bilancio.
“Siamo consapevoli della portata dei compiti che ci attendono e vogliamo compiere i primi passi e prendere le prime decisioni necessarie”, ha dichiarato Merz, aggiungendo che “data la minaccia alla nostra libertà e alla pace nel nostro continente, il mantra della nostra difesa deve essere: costi quel che costi“, citando il celebre ‘whatever it takes‘ pronunciato dall’allora numero uno della Bce, Mario Draghi, nell’ora più buia della crisi dell’euro. Per Söder “stiamo inviando un segnale ad amici e nemici: la Germania è qui, la Germania non si ritirerà“.
„Deutschland und Europa müssen schnell ihre Verteidigungsfähigkeit stärken. @CDU, @CSU und @SPD werden einen Antrag zur Grundgesetzänderung einbringen, damit Verteidigungsausgaben über 1 % des BIP von der Schuldenbremse ausgenommen werden. Angesichts der Bedrohungen unserer… pic.twitter.com/nWYHi7srC2
— Friedrich Merz (@_FriedrichMerz) March 4, 2025
Si tratta di un cambio di passo di portata storica, definito da EuroIntelligence come “la più grande inversione di rotta in Germania dal 1969”, quando iniziò la rivalutazione del marco tedesco. Ironicamente, il freno al debito era stato introdotto nel 2009, cioè nella fase iniziale di quella crisi del debito sovrano che rischiò di far crollare l’Eurozona, da un’analoga coalizione Union-Spd (guidata allora da Angela Merkel) con l’obiettivo di stabilizzare i conti pubblici di Berlino.
Un’inversione a “U” per i cristiano-democratici, che si sono tradizionalmente schierati (persino durante l’ultima campagna elettorale) in difesa di una politica di bilancio rigida e conservatrice, facendo del Paese un paladino del rigorismo e dell’austerity in Europa. Dall’Spd, Klingbeil ha dichiarato che questa disposizione verrà riformata entro la fine dell’anno “per evitare che diventi un freno agli investimenti” e alla crescita economica in una Germania asfissiata da due anni di recessione.
La ricetta del nuovo governo
Nello specifico, la proposta prevede di non applicare il limite costituzionale sulle spese per la difesa che superino l’1 per cento del Pil. Considerando i dati del 2024, verrebbero dunque “salvate” tutte le manovre finanziarie che interessano il comparto in questione superiori ai 45 miliardi di euro. Inoltre, verrebbe creato un analogo spazio di bilancio “agevolato” anche per i governi statali, fissandone il tetto allo 0,35 del Pil. Attualmente, i 16 Länder che compongono la Bundesrepublik non sono autorizzati a spendere nemmeno un centesimo in deficit.

Ma “la spesa aggiuntiva per la difesa potrà essere assorbita solo se la nostra economia tornerà a un percorso di crescita stabile nel più breve tempo possibile”, ha dichiarato Merz. “Oltre a un radicale miglioramento delle condizioni di competitività, ciò richiede investimenti rapidi e sostenibili nelle nostre infrastrutture”, ha spiegato.
Come? Con un fondo speciale da 500 miliardi per coprire gli investimenti industriali e infrastrutturali che il Paese dovrà sostenere nei prossimi anni, una sorta di New Deal in salsa berlinese. Infine, il leader della Cdu ha esortato le altre forze politiche ad approvare al più presto un pacchetto di aiuti a Kiev del valore compreso tra i 3 e i 3,5 miliardi, incagliato al Bundestag da settimane a causa dell’appuntamento elettorale dello scorso 23 febbraio.
I prossimi passi
Ma la strada per realizzare questi ambiziosi progetti non è affatto in discesa. Sia la riforma del freno al debito sia la creazione del fondo monstre verranno presentate in Aula prima della scadenza dell’attuale legislatura a fine mese, per evitare che vengano impallinate dalle pattuglie dell’AfD e della Linke (cioè l’ultradestra e la sinistra radicale), uscite rinfoltite dalle urne. L’una si oppone all’aumento del debito, l’altra all’aumento delle spese militari.

Le due mozioni dovranno ottenere così l’appoggio dei Verdi o dei liberali dell’Fdp: senza i voti di almeno uno dei due gruppi parlamentari, non verrebbe infatti superata la soglia dei due terzi necessaria per modificare la Costituzione (Union ed Spd detengono attualmente 403 seggi sui 733 totali dell’emiciclo). Se l’Fdp è da sempre contraria alla modifica del freno al debito, gli ecologisti potrebbero sostenerla ma richiederanno qualcosa in cambio (verosimilmente degli impegni più sostanziosi sul fronte del clima e dell’ambiente). Inoltre, la forzatura al Bundestag per chiudere una partita così importante prima che si insedi la nuova legislatura potrebbe venire contestata di fronte alla Corte costituzionale.
Sia come sia, le mosse di Merz e von der Leyen si collocano nel quadro del più ampio smottamento politico provocato dalla nuova amministrazione statunitense. Donald Trump ha fatto inequivocabilmente capire agli alleati europei che dovranno prendere in mano autonomamente la responsabilità della sicurezza del Vecchio continente. E le cancellerie su questa sponda dell’Atlantico, in preda al panico più nero, stanno disperatamente correndo ai ripari, come dimostra la frequenza dei summit informali convocati nelle ultime settimane. Il prossimo appuntamento è per domani (6 marzo) a Bruxelles, con il Consiglio europeo straordinario al quale i Ventisette discuteranno proprio di difesa e di Ucraina.