Bruxelles – L’ex Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, aveva insistito per convocare un vertice con Tel Aviv per discutere delle violazioni degli obblighi sui diritti umani previsti dall’Accordo di associazione Ue-Israele. Un anno dopo, il Consiglio di associazione si è tenuto, nel bel mezzo di una fragilissima tregua a Gaza e di nuove violenze in Cisgiordania. Ma l’incontro tra il capo della diplomazia Ue, Kaja Kallas, il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, e i suoi omologhi europei, ha abbracciato tutti gli aspetti del rapporto tra i due partner ed è la conferma che Bruxelles non utilizzerà alcuna leva per fare pressione su un governo che nonostante tutto rimane ‘amico’.
Che tra i due partner ci siano differenze di vedute ormai inconciliabili, è evidente. Lo evidenzia lo stesso Sa’ar, che ben due volte, parlando dei territori palestinesi occupati, parlando ai giornalisti afferma: “Quella che voi chiamate Cisgiordania e noi chiamiamo Giudea e Samaria“. Ma l’Ue su Israele è divisa – e quindi debole -, e non può andare oltre la “preoccupazione” per le violenze e gli “inviti” a rispettare il diritto internazionale. Anzi, l’impressione è che la posizione di Bruxelles si sia ammorbidita ora che a Gaza è stato raggiunto un cessate il fuoco.
Prima di un Consiglio di associazione, i 27 devono concordare una posizione comune. Nel documento diffuso dai servizi del Consiglio dell’Ue, i Paesi membri ricordano immediatamente che “ai sensi dell’articolo 2 dell’accordo di associazione, le relazioni tra le parti, nonché tutte le disposizioni dell’accordo stesso, devono essere basate sul rispetto dei diritti umani e dei principi democratici”. Segue la condanna “più ferma possibile” degli attacchi di Hamas del 7 ottobre, di quelli lanciati dall’Iran e dagli Houthi yemeniti. Dopodiché, l’Ue “deplora profondamente l’inaccettabile numero di vittime civili” e la “catastrofica situazione umanitaria” a Gaza. I ministri Ue hanno ribadito a Sa’ar la propria “opposizione a tutte le azioni che minano la fattibilità della soluzione dei due Stati” e alla “politica israeliana delle colonie”. Bruxelles “non riconoscerà modifiche ai confini del 1967 a meno che non siano concordati tra le parti”, precisa la posizione comune Ue.

Al suo arrivo, Sa’ar aveva dichiarato: “È legittimo che ognuno abbia la sua opinione. Noi sappiamo come affrontare le critiche, siamo abituati, finché le critiche non sono collegate alla delegittimazione, alla demonizzazione o ai doppi standard, che di tanto in tanto sono cose che vediamo negli attacchi contro Israele”. In mattinata, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, vittima negli ultimi mesi di furiosi attacchi verbali (e addirittura sanzioni) da parte del governo israeliano, di fronte al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra si era detto “gravemente preoccupato per l’aumento della violenza dei coloni israeliani in Cisgiordania e per le richieste di annessione”.
I Paesi membri hanno ribadito il concetto. “Non possiamo nascondere le nostre preoccupazioni per quanto riguarda la West Bank”, ha ammesso Kaja Kallas nella conferenza stampa congiunta a margine del vertice. A dire il vero, come richiesto dal ministro degli Esteri spagnolo, José Manuel Albares, l’Ue potrebbe semplicemente rispettare le “regole sul commercio dei prodotti delle colonie”, ovvero smettere di applicare alle merci che arrivano dalle colonie israeliane illegali le stesse tariffe che l’Accordo di associazione Ue-Israele prevede per quelle del territorio israeliano riconosciuto dalla comunità internazionale. L’Ue non lo fa, e quindi Israele fa orecchie da mercante. “Ciò che stiamo facendo è difendere la nostra sicurezza. Si tratta di operazioni militari contro i terroristi e non ci sono altri obiettivi, se non questo”, ha affermato Sa’ar. Ma in quei territori, dagli accordi di Oslo del 1993, secondo un recente censimento dell’Onu sono state costruite 279 nuove colonie.
I ministri Ue hanno messo nero su bianco – e comunicato a Sa’ar – l’impegno a “rispettare pienamente il diritto internazionale” e a fare in modo che “tutti gli accordi tra lo Stato d’Israele e l’Ue indichino in modo inequivocabile la loro inapplicabilità al territorio occupato nel 1967″. I Paesi membri “condannano fermamente” l’escalation di violenze in Cisgiordania e Gerusalemme Est “a seguito dell’espansione degli insediamenti illegali e delle operazioni militari israeliane”, e soprattutto chiedono che Israele faccia di più per “prevenire la violenza dei coloni estremisti”.

Il ministro israeliano ha dichiarato che le relazioni tra Tel Aviv e Bruxelles “non devono essere ostaggio del conflitto israelo-palestinese“. Non dovrebbero tenere conto degli oltre 46 mila morti palestinesi di Gaza morti sotto le bombe israeliane dal 7 ottobre 2023. Anzi, secondo Saar Israele “ha dimostrato di essere una forza stabile e forte in una regione caotica”, oltre che “una risorsa per l’Europa a livello strategico, economico, tecnologico e altro ancora”.
Tra le questioni che dovrebbe porsi l’Ue ci sono anche i continui attacchi israeliani alla legittimità del diritto internazionale. Il fatto stesso di celebrare un Consiglio d’Associazione con un governo il cui primo ministro è oggetto di un mandato d’arresto da parte della Corte Penale Internazionale, non può che mettere a disagio. Ed espone un’altra volta l’Ue all’accusa di applicare doppi standard in Ucraina – questa mattina a Kiev Ursula von der Leyen ha dichiarato che “gli autocrati di tutto il mondo stanno osservando molto attentamente se esiste l’impunità se si invade il proprio vicino e si violano i confini internazionali” – e a Gaza. Interpellata sull’invito rivolto a Netanyahu da Friedrich Merz, fresco vincitore delle elezioni federali in Germania, Kallas si è smarcata, sostenendo che “l’Ue sostiene la Corte de L’Aia e i principi dello Statuto di Roma, ma spetta agli Stati membri decidere se rispettarne i mandati”.
I ministri dei 27 hanno “sottolineato che non può esserci altra soluzione se non quella dei due Stati”, ha proseguito Kallas. E che l’Ue “sostiene l’Autorità nazionale Palestinese e il suo ritorno a Gaza“, oltre al “ritorno di ogni palestinese sfollato per il quale Gaza è casa”. Ma Sa’ar, il cui governo ha applaudito lo sconcertante piano di pulizia etnica dell’enclave palestinese messo sul piatto da Donald Trump, ha risposto in modo vago e confusionario: “Quando si parla di emigrazione, quando si parla di libera scelta individuale e di uno Stato pronto ad accettare un individuo, questa è la cosa più morale e umana da fare. Non è imporre lo sfollamento”.