Bruxelles – L’Ue ha fissato l’asticella per la riduzione dello spreco alimentare entro il 2030. Questa notte l’accordo tra i co-legislatori del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Ue per modificare la direttiva quadro sui rifiuti: l’obiettivo è ridurre del 10 per cento i rifiuti provenienti dalla trasformazione e produzione alimentare e del 30 per cento quelli generati nella vendita al dettaglio, nei ristoranti, nei servizi alimentari e nelle famiglie. L’accordo sancisce anche la responsabilità estesa dei produttori tessili, che dovranno pagare una tassa per contribuire alla raccolta e al trattamento dei rifiuti.
In questo modo, Bruxelles prova a mettere una pezza all’indigestione di rifiuti alimentari e tessili che i Paesi membri producono ogni anno: 60 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari – all’incirca 132 chili per ogni cittadino europeo – e 12,6 milioni di tonnellate di rifiuti tessili. Nel vecchio continente, lo spreco alimentare comporta una perdita economica di 132 miliardi di euro all’anno. E per quanto riguarda i tessuti, si stima che a livello mondiale ne venga riciclato meno dell’1 per cento.
Alla fine, i target di riduzione restano quelli della proposta originaria della Commissione europea: l’Eurocamera aveva chiesto obiettivi vincolanti più ambiziosi – almeno il 20 per cento di riduzione nella trasformazione e produzione alimentare e il 40 per cento nella vendita al dettaglio, nei ristoranti, nei servizi alimentari e nelle famiglie -, ma nei negoziati interistituzionali ha dovuto cedere il passo alla linea degli Stati membri. Il Parlamento ha però ottenuto l’inclusione di misure per facilitare la donazione di cibo invenduto e sicuro per il consumo umano da parte degli operatori economici. La relatrice per l’Eurocamera, Anna Zalewska (Ecr), ha sottolineato questo aspetto: “Abbiamo fatto in modo che il cibo invenduto possa essere donato o ridistribuito tramite piattaforme come ‘Too Good To Go’ senza inutili ostacoli”.
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Restano esclusi – almeno inizialmente – gli agricoltori: nel testo scaturito dall’accordo non è presente nessun obiettivo mirato alla produzione primaria, il cui impatto verrà valutato solo successivamente, nella revisione prevista nel 2027. “Oggi abbiamo adottato misure concrete per ridurre i rifiuti senza sommergere le imprese di burocrazia. Allo stesso tempo, abbiamo fatto in modo che le politiche per ridurre gli sprechi alimentari non abbiano assolutamente alcun impatto negativo sul settore agricolo”, ha esultato Zalewska.
Rifiuti tessili: nel mirino la fast-fashion, esenzioni per l’usato
L’accordo sulla revisione della direttiva stabilisce inoltre norme armonizzate sulla responsabilità estesa del produttore per i produttori tessili e i marchi di moda. In sostanza, saranno ritenuti responsabili dell’intero ciclo di vita dei prodotti tessili – e quindi dei loro rifiuti – e saranno tenuti a pagare una tassa per contribuire a finanziare la raccolta e il trattamento dei rifiuti. Il costo dipenderà da quanto sia circolare e sostenibile il design del loro prodotto.
Le nuove norme riguardano abbigliamento e accessori, calzature, coperte, biancheria da letto e da cucina, tende e cappelli. Si applicheranno in modo orizzontale a tutti i produttori, compreso il mondo dell’e-commerce e indipendentemente dal fatto che siano stabiliti in un Paese dell’Ue o al di fuori. Gli oneri sui costi per raccolta, cernita e riciclaggio dei prodotti tessili si applicheranno 30 mesi dopo l’entrata in vigore della direttiva, salvo che per le microimprese, che avranno un anno in più di tempo per adeguarsi.
Nel mirino della direttiva entrano i produttori di fast fashion: per evitare che i prodotti tessili vengano scartati prima che raggiungano la loro durata potenziale, gli Stati membri possono adattare le tasse pagate dai produttori in base alla durata di utilizzo dei prodotti tessili e alla loro durata. All’opposto, saranno incentivati i prodotti di seconda mano: “Era fondamentale escludere i negozi dell’usato dal pagamento di una tassa per ogni articolo venduto”, ha osservato ancora la relatrice per l’Eurocamera, perché “tali oneri sarebbero contrari all’obiettivo della direttiva, che è quello di promuovere la circolarità incoraggiando la riparazione e il riutilizzo”.