Bruxelles – Da prima ancora di entrare nello studio ovale, Donald Trump ha iniziato a fare pressioni sugli alleati europei della Nato perché aumentino considerevolmente le loro spese in difesa. I Ventisette sembrano intenzionati a seguire questa indicazione, spaventati anche dall’impressione che Washington si voglia disimpegnare dal Vecchio continente, lasciandolo vulnerabile a potenziali aggressioni russe. Ma c’è uno Stato Ue che resiste, praticamente in solitaria, contro la corsa al riarmo: è la Spagna di Pedro Sánchez.
L’esecutivo di Madrid, guidato da una coalizione di centro-sinistra tra il Partido Socialista (Psoe) del primo ministro Pedro Sánchez e Sumar (una piattaforma che raccoglie una serie di formazioni della sinistra radicale), ha confermato la sua intenzione di mantenere gli impegni di spesa assunti dando vita al governo. Cioè destinare l’1,32 per cento del Pil alla difesa quest’anno, e raggiungere l’obiettivo del 2 per cento (fissato dalla Nato nel 2014, dopo l’annessione unilaterale della Crimea da parte della Russia) entro il 2029.
Il Paese iberico è uno degli otto membri dell’Alleanza che non hanno ancora centrato il target del 2 per cento. Gli altri sono Belgio, Canada, Croazia, Italia, Lussemburgo, Portogallo e Slovenia, stando alle stime della stessa Nato (che risalgono all’estate scorsa ma dovrebbero essere aggiornate il mese prossimo). In effetti, è quello che spende di meno: le proiezioni per il 2024 parlano dell’1,28 per cento del prodotto interno lordo destinato alla difesa. E il dato reale potrebbe essere ancora più basso, dato che l’economia spagnola è cresciuta di un rimarchevole 3,2 cento nell’anno da poco concluso, balzando al primo posto nell’area Ocse.

In termini finanziari, per Madrid si tratta di passare dai 17,5 miliardi di euro stanziati nel 2024 ad oltre 36,5 miliardi nei prossimi cinque anni, puntando soprattutto su un aumento degli investimenti. La tabella di marcia prevede quasi 21,2 miliardi nel 2025 (toccando appunto l’1,32 per cento del prodotto interno lordo), poi 24,7 miliardi nel 2026 (1,49 per cento del Pil), quindi 28,4 miliardi nel 2027 (1,66 per cento), superando i 32,3 miliardi nel 2028 (1,83 per cento) per attestarsi infine a 36,5 miliardi nel 2029. Insomma, un ritmo di circa 4 miliardi l’anno. Tutt’altro che noccioline.
Ma, com’è emerso chiaramente negli ultimi mesi, il 2 per cento non basta più. L’ha ripetuto fin dalla campagna elettorale il presidente statunitense Donald Trump, lo ha ribadito il nuovo capo del Pentagono Pete Hegseth, lo ha dichiarato anche il Segretario generale dell’Alleanza nordatlantica Mark Rutte poco dopo aver assunto l’incarico. Da Monaco, la presidente dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen ha aperto alla possibilità di scorporare gli investimenti in difesa dai vincoli del Patto di stabilità attivando la clausola di salvaguardia, e anche l’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas appoggia un maggior impegno degli Stati membri in difesa.
Per il momento non c’è ancora una cifra concordata ufficialmente (potrebbe accadere al prossimo vertice Nato in calendario per fine giugno all’Aia), ma è già stato messo sul tavolo dall’amministrazione Usa addirittura il 5 per cento. Un aumento più che doppio, quest’ultimo, che sarebbe difficilmente sostenibile per molti membri dell’organizzazione (Washington ha speso meno del 3,4 l’anno scorso, Varsavia più del 4,1). Rutte ha esortato gli alleati ancora sotto la soglia del 2 per cento ad affrettarsi per raggiungerla “entro l’estate”.
Dal governo spagnolo insistono sul fatto che, al netto delle sparate di Trump, l’unico impegno attualmente vincolante è quello del 2 per cento – che, si sottolinea, è diventato tale solo al summit di Madrid del 2022, mentre nel 2014 si trattava di una raccomandazione – e pertanto quello è l’obiettivo da qui al 2029. “La Spagna, in quanto alleato serio, affidabile e responsabile, sa perfettamente cosa deve fare e non ha bisogno di prendere lezioni da nessuno”, ha tagliato corto la ministra della Difesa, la socialista Margarita Robles, incontrando a Bruxelles gli omologhi dei Ventisette la scorsa settimana.
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Come prevedibile, la linea del Psoe è finita sotto le critiche incrociate degli alleati di governo e dell’opposizione. Pablo Bustinduy, ministro dei Diritti sociali in quota Sumar, ha ammonito riguardo alle “spese militari folli“. Tanto Sumar quanto Podemos, un ex partner dell’esecutivo che ora fornisce appoggio esterno, hanno regolarmente osteggiato l’invio di materiale bellico in Ucraina, in particolare i carri armati Leopard.
D’altro canto, il leader del Partido popular (Pp), Alberto Núnez Feijóo, ha criticato il governo Sánchez per spendere troppo poco in difesa, il che renderebbe la Spagna un partner “inaffidabile” all’interno dell’Alleanza atlantica e metterebbe Madrid in una posizione di debolezza nei rapporti con Washington.
Tutte critiche di cui l’esecutivo di minoranza di Sánchez dovrà tenere conto in sede parlamentare, dato che deve ancora venire approvata dalle Cortes la legge di bilancio per il 2025. Se non passasse, i programmi già in corso nell’ambito della difesa andrebbero avanti, ma verrebbero congelati i nuovi investimenti.